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Ritratti di donne normali straordinarie: Lucia Zanardini

Lucia ha poco più di 14 anni quando, fuori dalla ragioneria, sente una compagna di un anno più grande dire che a settembre avrebbe frequentato la scuola per infermiere. Non esita nemmeno un minuto, lo dice prima ancora di rendersene conto: «voglio farlo anch’io». Quattro anni dopo diventa infermiera e inizia a lavorare a Iseo, in chirurgia. Le piace, è contenta della scelta presa al volo prima della campanella. Nel reparto si trattano molti casi di oncologia, un campo non certo semplice. Il tempo appesantisce il carico emotivo che deve assumersi ogni giorno, tutto diventa troppo.

Nel febbraio del 1988, Lucia è in seggiovia con Cristina Villa, ostetrica e amica, che le chiede per quale motivo non tornasse a scuola. Lì per lì, in mezzo al bianco della neve, Lucia scuote la testa: non vuole fare né la caposala né l’assistente sanitaria. «E l’ostetrica?» Non trovando nulla da obiettare, Lucia prende la seconda decisione al volo della sua vita, il giorno dopo va ad informarsi e a novembre torna tra i banchi.

Il 20 giugno 1990 diventa ostetrica. Ha 24 anni quando entra per la prima volta in una sala parto e si rende subito conto che il sistema privava le donne della possibilità di assecondare la natura, di sfruttare ciò che era stato loro donato. Lucia è determinata, lo dicono i suoi occhi e la voce spogliata da ogni margine di esitazione. Dopo essersi accorta delle criticità, diventa artefice del grande cambiamento, insieme alle sue colleghe.  Le donne non partoriscono più contratte in posizioni previste dai manuali, con le cinghie alle caviglie, ma vengono portate a terra, liberate dalle norme che ingabbiano e non permettono alla natura di fare il proprio corso. Poi arriva la vasca per il parto in acqua, altra grande novità.

Una mattina, dopo aver staccato dalla notte in reparto, ha un incidente stradale. Niente di grave, fortunatamente ne esce indenne, ma capisce che non è più per lei fare avanti e indietro da Gianico a Iseo, vorrebbe avvicinarsi a casa. Tenta il concorso e lo supera, riuscendo ad ottenere il trasferimento all’ospedale di Esine. Entra dalla porta e trova un mondo diverso, già aperto alle innovazioni per le quali si era dovuta battere anni prima. Si sente a casa, in quell’ospedale che non aveva mai considerato perché quando ti trovi bene in un posto non contempli le altre opzioni disponibili.

Lucia ama il suo lavoro, si vede da come ne parla, dalla voglia che ha di ritornare in reparto, non appena il suo ginocchio glielo permetterà. Non è un mestiere semplice, spesso e volentieri ti suonano il campanello donne che non conosci, che non hai seguito. Ti si gettano spaventate e doloranti tra le braccia e tu devi essere pronta al volo a capire di che approccio abbiano bisogno, quale sia il modo migliore per entrare in relazione con loro. Non hai molto tempo per capirlo, una certa sensibilità maturata con l’esperienza aiuta.

Lucia non l’aveva mai immaginato che sarebbe stata in mezzo alle madri e ai bambini tutto il giorno senza averne uno suo, da portare all’asilo dicendogli che la mamma sarebbe tornata a prenderlo dopo il lavoro. Ma a volte la vita non va come vorremmo. E cosa fai? Ti adatti, reinventi quell’energia che hai dentro, che potresti dedicare ai tuoi figli per far nascere quelli degli altri. E no, non è facile. Non ci fai l’abitudine, è una ferita che può essere suturata ma mai assorbita completamente.  Accetti il dolore, non lo contrasti, lasci che le onde si staglino sugli scogli e si ritraggano da sole. Non puoi fermare il loro moto, non puoi imporre alla natura la tua volontà, se provi a bloccare la marea, il suo fragore ti impedirà di sopravvivere. Lucia padroneggia una forza non da poco. Nei suoi occhi lucidi si vede che le mancano, i bambini che non ha mai avuto.

                                            Maria Ducoli

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