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Scartata la pista della vendetta da parte dei vicini di casa, riprende quota quella passionale nel delitto di Daniela Roveri, la manager d’azienda uccisa con una coltellata al collo la sera del 20 dicembre nell’androne del palazzo in cui viveva in via Keplero a Colognola.

Le indagini, coordinate dai sostituti procuratori Davide Palmieri e Fabrizio Gaverini, proseguono senza sosta: infatti sono state interrogate e ascoltate 205 persone. L’unico sviluppo dopo la lunga serie di testimonianze è l’allontanamento della possibilità che a uccidere Daniela Roveri sia stato un vicino di casa, magari per una vendetta legata ai posti auto di via Keplero. Al contempo, negli ultimi giorni, sembra riprendere corpo la pista passionale, che era scartata. Il delitto si è consumato in 14 minuti: il killer ha sorpreso la 48enne alle spalle, per poi immobilizzarla e tagliarle la gola con un fendente forte e preciso, che le ha rescisso anche la carotide. La prima pista presa in considerazione è stata quella passionale, con gli inquirenti che la notte stessa del delitto hanno ascoltato a lungo l’uomo che frequentava la manager, un istruttore della palestra in cui si allenava, “Il club” di Azzano San Paolo, che abita a circa 500 metri dalla scena del crimine. Oltre al personal trainer, era stato interrogato a lungo uno spasimante della donna: un amore mai corrisposto. Non è ancora stata scartata nemmeno l’ipotesi professionale, con un possibile movente nascosto nella documentazione dell’azienda in cui lavorava Daniela, la Icra Spa di San Paolo d’Argon, specializzata nella produzione di materiale refrattario. La 48enne, che lavorava lì da circa 20 anni, dopo una lunga gavetta era diventata di responsabile della contabilità. Dall’analisi delle carte aziendali finora non è però emerso un motivo di astio nei confronti della donna tanto forte da scatenare la follia omicida.