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Il CdM ha approvato l’Autonomia differenziata

Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sull’autonomia differenziata. Una nuova proposta su un tema che deriva dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, in base a cui le regioni possono chiedere allo Stato competenza esclusiva su 23 materie di politiche pubbliche.

È opportuno notare che dalla fine della precedente legislatura la situazione è radicalmente cambiata. Sono state avanzate nuove richieste di trasferimento di competenze da parte delle tre Regioni capofila (Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna) ed altre Regioni hanno avviato il percorso della differenziazione.

I pre-accordi del Febbraio 2018 risultano oggi superati e la maggior parte delle Regioni italiane sembrano ora interessate a “salire sul treno del regionalismo differenziato.” Alla Lombardia, al Veneto e all’Emilia Romagna si sono aggiunte, con richieste differenti, altre Regioni. Toscana, Piemonte, Marche ed Umbria hanno attivato il confronto con il Ministero per gli Affari Regionali, mentre la Liguria, il Lazio hanno intenzione di seguire l’esempio delle altre Regioni ordinarie. Altre quattro Regioni (Basilicata, Calabria, Puglia e Molise) non sembrano aver investito formalmente i rispettivi Presidenti di Regione per avviare il confronto con il Governo nazionale; tuttavia esse hanno assunto iniziative preliminari che hanno comportato l’approvazione di atti di indirizzo propedeutici all’incarico nei confronti dei rispettivi governatori. Soltanto l’Abruzzo, dai dati disponibili, non hanno avviato le procedure ex articolo 116, terzo comma, della Costituzione, per la concessione dell’autonomia differenziata.

Cos’è l’autonomia differenziata?

L’autonomia differenziata non è altro che il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Insieme alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive.

Le materie legislazione concorrente comprendono i rapporti internazionali e con l’Unione europea, il commercio con l’estero, la tutela e sicurezza del lavoro, l’istruzione, le professioni, la ricerca scientifica e tecnologica, la tutela della salute, l’alimentazione, l’ordinamento sportivo, la protezione civile, il governo del territorio, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la comunicazione, l’energia, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la cultura e l’ambiente, le casse di risparmio e gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Uno dei punti più contestati della proposta, infatti, è quello relativo al finanziamento dei livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, conosciuti come Lep, che in base alla Costituzione tutelano i “diritti civili e sociali” di cittadine e cittadini. L’entità di questi finanziamenti andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia, in modo tale da avere chiaro di quante risorse ha bisogno ogni regione richiedente.

Ma secondo il disegno di legge, che da al governo un anno di tempo per decidere i Lep, le regioni potranno formulare un’intesa anche senza il decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire l’entità dei Lep, distribuendo così i finanziamenti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui chiede l’autonomia.

Ed è questo il punto al centro delle contestazioni perché assicurerebbe maggiori finanziamenti alle regioni del Nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta, e meno a quelle del Sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa. In questo modo, si accentuerebbero ancora di più le disuguaglianze tra i due poli del paese.

 

 

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