Il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del Tar che aveva diffidato Giacomo Ducoli, curatore del fallimento della Selca, a provvedere alla messa in sicurezza dell’area dello stabilimento di Forno Allione come responsabile per il superamento delle concentrazioni di ferro e floruri nelle acque di falda.
Il principio stabilito dal Tar, che ricalca i pronunciamenti in materia di inquinamento da parte dell’UE, afferma che “chi inquina paga”: ma, secondo i Giudici del Consiglio di Stato, la cui sentenza è inappellabile, ad inquinare non è stato certo Giacomo Ducoli quale curatore fallimentare di Selca. Ora migliaia di tonnellate di rifiuti che da anni giacciono a Berzo Demo, se saranno rimosse, saranno a spese non certo della curatela del fallimento. I giudici da un lato hanno ritenuto che l’inquinamento delle acque sia dipeso dai floruri della Selca, visto anche che «la concentrazione dei medesimi è rinvenuta nei piezometri “compatibili” con il suo stabilimento»; dall’altro non hanno condiviso il ragionamento del Tar in base al quale il curatore «detiene i beni del fallimento (in questo caso i cumuli di rifiuti), ha un obbligo di custodia e risponde degli effetti prodotti da tali “beni”». Il Consiglio di Stato ricorda che il curatore è subentrato alla fase produttiva dell’azienda e non ha continuato l’attività di impresa: «addossare a questi responsabilità per l’inquinamento finirebbe con il produrre un effetto di manleva automatica nei confronti dei veri responsabili» e oltre a sollevarli dalla responsabilità e dagli oneri della messa in sicurezza creerebbe un pericoloso precedente: «Nessuna impresa, secondo i giudici, avrebbe interesse a investire in politiche ambientali, ove avesse consapevolezza che gli eventuali danni sarebbero ripianati in danno dei creditori», quindi del curatore del fallimento. Quanto all’obbligo di rimozione, nella fattispecie lo smaltimento di 45mila tonnellate di scarti di fonderia, il Consiglio di Stato ha adottato il principio del «chi inquina paga». La sentenza sembrerebbe anche indicare che la montagna di rifiuti resterà a Berzo Demo ancora a lungo dato che non ci sono impianti in Italia autorizzati al loro trattamento e per portarli in uno stabilimento in grado e autorizzato a farlo (in Europa ce ne sono due: uno in Spagna e uno in Germania) occorrono 10 milioni di euro che nessuno, per ora, sa dove trovare.