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Violenza sulle donne in Val Brembana e Imagna: 79 richieste in quasi 3 anni, in aumento dopo lockdown

Secondo i dati forniti dal Centro Antiviolenza Penelope di San Pellegrino Terme, a quasi tre anni dalla sua apertura sono stati 124 i contatti raggiunti con donne in difficoltà, di cui 79 presi in carico. La violenza di genere è un fenomeno che non fa distinzioni, ma soprattutto non conosce confini territoriali. A pochi giorni dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che cade il prossimo 25 novembre, è di fondamentale importanza conoscere e comprendere in che misura questa piaga si sia insinuata anche all’interno delle valli Brembana e Imagna.

I dati, forniti dal Centro Antiviolenza Penelope di San Pellegrino Terme, parlano chiaro: a quasi tre anni dalla sua apertura, avvenuta l’8 marzo 2018, sono stati 124 i contatti raggiunti con donne in difficoltà – sia diretti che via telefono, mail o segnalazioni di terzi –, dei quali 79 presi in carico. Un numero preoccupante sotto tutti i punti di vista, che svela come anche i nostri territori non siano affatto immuni al fenomeno, demolendo la convinzione che la violenza contro le donne non ci possa toccare da vicino. Il Centro Antiviolenza Penelope è nato con questo preciso scopo: gestito dalla Cooperativa Sirio, è stato fortemente voluto dalla Rete Interistituzionale per il contrasto della violenza contro le donne negli Ambiti Valle Brembana (di competenza della Comunità Montana omonima) e Valle Imagna – Villa d’Almè (di competenza dell’Azienda Speciale Consortile).

La sede del progetto si trova presso Villa Speranza a San Pellegrino Terme, Comune capofila, a cui sono seguiti due sportelli aggiuntivi ad Almenno San Bartolomeo (all’interno del PalaLemine) e a Sant’Omobono Terme, presso il presidio socio sanitario in via Vanoncini, 20 (ex Asl). Non esiste un identikit della donna vittima di violenze, ma attraverso i dati forniti dal Centro è possibile delineare un profilo in entrambi gli Ambiti.

I NUMERI – Da marzo 2018, mese di avvio del progetto, fino al 31 ottobre 2020 i contatti ricevuti sono stati 124, conteggiati fra accesso della donna al Centro oppure tramite telefono e mail, o ancora in seguito a segnalazioni da terzi – che possono essere le Istituzioni piuttosto che amici o parenti. Di questi contatti sono scaturite 79 prese in carico, di cui 45 residenti in Valle Brembana e 34 nell’Ambito Valle Imagna – Villa d’Almè. A presentarsi sono donne con un’età media che si colloca in un range fra i 30 e i 50 anni; 38 sono le donne lavoratrici, 24 invece disoccupate, 11 con una occupazione non regolare e 6 in pensione. Non solo donne italiane a chiedere aiuto, ma anche straniere: 28 sono quelle che si sono rivolte al Centro in quasi tre anni di attività.

Diverse sono le motivazioni che hanno spinto le donne a cercare supporto, sebbene – come
sottolinea Cinzia Mancadori, responsabile del Centro Antiviolenza – “La donna non è mai vittima di una sola forma di violenza, esistono una varietà di situazioni. La violenza psicologica, infatti, è sempre associata a quella economica, oppure al controllo e atti persecutori”. Osservando i dati, fra i numeri più preoccupanti emerge che 10 donne si sono rivolte per atti di violenza psicologica, che si manifesta principalmente con minacce, svalutazioni continue e situazioni di controllo o isolamento da parte del partner, mentre 33 per violenza psicologica e fisica e 9 per violenza fisica, psicologica e economica, che si verifica quando il maltrattante impedisce alla donna di usufruire del proprio denaro in modo autonomo.

“Spesso è difficile da riconoscere – continua Mancadori – ma tutte queste forme di violenza sono associate anche a quella sessuale, che si crede sempre venga da sconosciuti e invece è
prevalente anche fra le mura domestiche. Posso affermare che almeno il 90% delle donne che chiedono aiuto sono vittime anche di violenza sessuale, giocata spesso non sulla forza ma sulla paura: se sottrarsi ad un rapporto significa avere come conseguenza una violenza fisica, è chiaro che la donna si può prestare all’atto sessuale ma è insito dentro di lei che sia fatto senza il suo consenso”. “Con il lockdown per molte donne è cominciato l’incubo” Il 2020 è stato un anno complesso sotto diversi punti di vista, a partire dal lockdown di primavera.

La chiusura totale per alcune donne si è tramutata in un incubo: tante, infatti, si sono
trovate costrette in casa con il partner maltrattante, subendo violenze senza possibilità di
rifugiarsi altrove. “Sicuramente le valli bergamasche, Valle Brembana e Valle Imagna comprese, hanno subito una grande contrazione di richieste da parte delle donne durante il primo lockdown – spiega la responsabile Mancadori – Quando però è tornata la possibilità di movimento, le richieste sono esponenzialmente incrementate, basti pensare che i dati del 2019 e i primi dieci mesi del 2020 sono quasi paritetici”.

I contatti dello scorso anno, infatti sono stati 51, mentre nel 2020 al 31 ottobre ne risultavano già 45, nonostante uno stop di quasi tre mesi. “Noi, come Rete, abbiamo cercato di far sapere alle donne che c’eravamo comunque, nonostante il lockdown – sottolinea Francesca Capelli, Coordinatrice Rete Antiviolenza Penelope per gli Ambiti Valle Brembana e Valle Imagna-Villa d’Almè – Il Centro si è riattivato in modalità online e anche attraverso le telefonate, in maniera tale da offrire alle donne un canale di confronto. Chiaramente per loro è stato difficile, perché stando in casa con il compagno o marito h24 diventava quasi impossibile mettersi in contatto con noi. Perciò quando tutto è tornato ad aprirsi, i contatti sono aumentati in maniera esponenziale”.

Un altro triste dato frutto del lockdown proviene dal numero di femminicidi registrati da marzo a giugno. “È un dossier del Viminale, presentato ad agosto del 2020, in cui si legge che sono state uccise 44 donne, una ogni due giorni. Nel 2019 lo stesso periodo riportava una donna ogni sei giorni. È un dato preoccupantissimo” aggiunge Mancadori. Prima del 2018, il nostro territorio era sguarnito di servizi a tutela della donna. Ad oggi, con 7 operatrici attive nei due Ambiti – dalle figure legali alle psicologhe –, il Centro Antiviolenza è diventato un punto di riferimento non solo per chi si trova in situazioni di violenza, ma anche per generare consapevolezza in chi abita il territorio.

“I servizi come quelli di un Centro Antiviolenza hanno certamente bisogno di un consolidamento, ma non mi sento assolutamente di dire che tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati sono stati raggiunti – commenta Mancadori – Abbiamo ancora assolutamente necessità che questo servizio venga conosciuto e riconosciuto come luogo privilegiato, sia per le donne che sono vittime di violenza, sia per tutte le istituzioni che entrano in contatto con le donne vittime. È un aspetto che non credo si possa mai raggiungere al 100%, perché le persone cambiano e così anche il territorio nella sua operatività e servizi ed è chiaro che ogni volta che c’è un cambiamento, il Centro e la Rete devono essere pronte in un coinvolgimento. Più si va avanti, più il bisogno aumenta e più le risorse devono essere”.

I due capisaldi per garantire l’efficacia del Centro sul territorio vanno, dunque, ricercati nell’estensione dell’informazione verso la popolazione e nell’impegno delle Istituzioni nei
confronti del progetto. “Quando si è partiti con questa attività, si sapeva l’obiettivo ma il
fenomeno ancora non si conosceva – spiega Roberta Ghisalberti, Responsabile Ufficio Affari Generali per il Comune di San Pellegrino e responsabile del progetto – Si tratta di un progetto con il quale si fa politica, nel senso che noi non siamo semplici esecutori o enti che spendono le risorse pubbliche, ma stiamo cercando di aiutare e aiutarci a capire questo fenomeno e costruire gli strumenti e le politiche per governarli”.

“Regione Lombardia, come noi, vuole capire queste situazioni, comprenderle, conoscerle e
gestirle – prosegue Ghisalberti – c’è stato un grande impegno di lavoro per istituire gli sportelli fisici e ovviamente tutto il personale. Anche l’impegno economico – coperto con risorse Regionali, statali e con il contributo degli Ambiti – è stato abbastanza rilevante, soprattutto perché siamo una piccola Rete in un territorio di montagna. Questo è il terzo progetto che gestiamo e spesso le risorse non sono bastate, soprattutto perché ripartite rigidamente. Fortunatamente, però, sul progetto attuale 2020-2021 sono state derogate ulteriori risorse che alleggerirebbero il contributo economico degli Ambiti, che altrimenti sarebbe stato abbastanza rilevante”.

Uno degli obiettivi principali resta comunque quello dell’informazione, che deve essere il più possibile estesa per raggiungere anche quelle donne che non sanno di poter trovare nel Centro un canale di accoglienza e, in molti casi, anche di salvezza. “L’aumento di contatti degli ultimi due anni e mezzo ci dà come lettura il fatto che il centro sia arrivato a tante donne, pur sapendo che sia la Valle Brembana che l’Ambito Valle Imagna – Villa d’Almè sono territori culturalmente, per questo aspetto in particolare, chiusi – sottolinea Francesca Capelli – Per questo c’è sempre bisogno di formazioni e informazioni”. Il 2020 ha tagliato le gambe a numerosi progetti, come le visite nelle scuole per informare ragazzi e ragazze, ma qualcosa è stato ugualmente fatto. “Nel mese di ottobre abbiamo concluso una formazione per gli operatori del Pronto Soccorso e le strategie di accoglienza delle donne vittime di violenza, a cui hanno partecipato anche istituzioni come Forze dell’Ordine e la Procura – spiega – Un’altra novità è la collaborazione nata con l’Associazione “La Svolta” di Bergamo, che si occupa di prendere in carico uomini maltrattanti, un tema che nel nostro territorio è ancora piuttosto ostico”.

Il primo contatto deve sempre venire dalla donna vittima e perciò è di estrema importanza che il messaggio del Centro venga comunicato il più possibile e nei più diversi ambiti. “Le valli con i paesini molto piccoli ed isolati, fanno fede ancora ad un certo substrato culturale, perciò il
nostro obiettivo è arrivare a tutti quei canali culturali e comunicativi che nelle valli sono un
punto di riferimento, come i parroci, i medici curanti o i Carabinieri – sottolinea Mancadori
– Questo perché spesso le donne vittime di violenza non sanno di potersi rivolgere a noi, perché completamente inibite in tutto dal partner maltrattante”.

E così una donna, conscia dell’esistenza di un barlume di speranza nella spirale buia della
violenza, potrebbe riuscire a prendere il coraggio a due mani e salvarsi, come hanno fatto altre
79 donne prima di lei. Ma serve l’aiuto di tutti: servono attenzione, accoglienza e – soprattutto
– supporto. “Il nostro intento è cercare di cambiare la presa di contatto delle persone con questo fenomeno che tocca tutti, tutti i giorni – conclude Capelli –. Ma spesso è più facile guardare dall’altra parte”.

CENTRO ANTIVIOLENZA PENELOPE | Sede e sportelli
– San Pellegrino Terme | Villa Speranza (via San Carlo)
Numero di telefono: 0345.521619; verrà sostituito dal 1 dicembre dal n. 334.1046230
Orari di apertura: lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9 alle 12 | martedì e giovedì dalle 14 alle 17.
– Almenno San Bartolomeo | SEDE ASC – c/o PalaLemine (via Montale, 42)
Numero di telefono: 035.851782 (interno 3)
Orari di apertura: giovedì dalle 9 alle 12.
– Sant’Omobono Terme | Presidio Socio Sanitario, ex ASL (via Vanoncini, 20)
Numero di telefono: 035.851782 (interno 3)
Orari di apertura: lunedì dalle 13:30 alle 16:30.

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