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Un notevole passo avanti verso l’Autonomia differenziata – Vi spieghiamo cos’è

L’approvazione in prima lettura da parte del Senato del Disegno di legge sull’autonomia differenziata per le Regioni a Stato ordinario elaborato dal ministro Roberto Calderoli è stata accolta con grande soddisfazione nei piani alti della Regione Lombardia “ Siamo ad un passo dal grande obiettivo di avere una Lombardia più autonoma, capace di rispondere ancora meglio ai bisogni e alle aspettative dei suoi territori e dei suoi cittadini”. Così il presidente, Attilio Fontana, ha commentato la notizia.

Il federalismo differenziato non spaccherà il Paese. Al contrario, aiuterà a ridurre il divario fra le aree più avanzate e quelle più problematiche.

La Lombardia è nei fatti una Regione, per popolazione e Pil superiore persino a molti Stati europei. E’ perfettamente in grado di poter gestire al meglio le 23 materie oggetto di possibili richieste di maggiori poteri e competenze. I cittadini avranno servizi migliori e potranno valutare in maniera più puntuale l’operato delle persone che eleggono.

Alcune precisazioni sono necessarie per capire come sono andate le cose

Nel 2001 il centrosinistra promulgò la legge costituzionale n. 3/2001 che ha interamente riscritto il Titolo V della Costituzione, modificando l’assetto del governo territoriale e sovvertendo i tradizionali rapporti tra Stato centrale ed enti periferici. Questi ultimi sono divenuti destinatari delle istanze della collettività in via preferenziale, dando piena attuazione ai principi di autonomia, decentramento amministrativo e adeguamento della legislazione statale.  Non più dunque lo Stato come referente principale delle istanze dei cittadini, ma gli enti locali, più prossimi alla società e dunque maggiormente in grado di soddisfarne efficacemente i bisogni. In quest’ottica è stato radicalmente rivisto anche il rapporto Stato-Regioni, estendendo la competenza di queste ultime a tutte le materie non espressamente riservate alla potestà legislativa statale. Nel nuovo articolo 117 furono indicate espressamente le materie di competenza statale (politica estera, immigrazione, difesa, ecc) mentre le Regioni diventarono titolari di tutti quei settori normativi non attribuiti allo Stato. Ma la vera novità fu la modifica dell’articolo 116 con cui si sancì che le Regioni ordinarie potessero richiedere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Quindi, pur essendo storicamente una battaglia della Lega che per questo ha anche indetto un referendum in Lombardia e Veneto nel 2017 con risultati plebiscitari fu il centrosinistra a favorirne l’introduzione e l’Autonomia differenziata fu inserita nel contratto di governo che diede vita al Conte I, anche se mosse pochi passi,  ed è nel programma dell’attuale esecutivo.

Le singole Regioni, in una contrattazione con lo Stato prevista dalla legge, potranno chiedere fino ad un massimo di 23 materie: dalla tutela della Salute all’Istruzione, Sport, Ambiente, Energia, Trasporti, Cultura e Commercio Estero. Non c’è un numero minimo. La concessione di una o più «forme di autonomia» è subordinata alla determinazione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), cioè i criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.

Il governo ha 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl per varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. Mentre Stato e Regioni, una volta avviata, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un’intesa. Questa potrà durare fino a 10 anni e poi essere rinnovata. Oppure potranno terminare prima con un preavviso di almeno 12 mesi. Era stato previsto un fondo perequativo per le Regioni che non chiederanno l’Autonomia (per ora l’hanno fatto in 14), inizialmente di quasi 5 miliardi, ma poi è stato prosciugato e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha precisato che la riforma va attuata ad invarianza di bilancio statale.

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