Finalmente l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato, pochi giorni fa, anche in Italia l’utilizzo degli anticorpi monoclonali anti covid 19. Sono delle armi preziose soprattutto fino a quando la vaccinazione non sarà diffusa a tutta la popolazione o quanto meno ai soggetti over 80 e fragili con pluripatologie.
In altri paesi, dove sono già in uso, hanno dimostrato di poter ridurre, in alcuni studi fino al 70%, sia la mortalità che l’ospedalizzazione. Gli anticorpi monoclonali autorizzati sono 2 dai nomi quasi impossibili da pronunciare bamlanivimab ed etesevimab. Come tutti gli anticorpi monoclonali hanno il nome che termina con il suffisso MAB che significa proprio anticorpo monoclonale (Monoclonal Anti Body).
Non sono farmaci nuovi in quanto fanno parte delle terapie biologiche già ampiamente utilizzate per la terapia delle malattie reumatologiche, tumorali ed anche nella cefalea cronica.
Per quanto riguarda la terapia anti covid 19 l’indicazione dovrà essere rappresentata “unicamente da soggetti di età maggiore di 12 anni, positivi per Sars-CoV-2, non ospedalizzati per Covid-19, non in ossigenoterapia, con sintomi di grado lieve-moderato di recente insorgenza (e comunque da non oltre 10 giorni) e presenza di almeno uno dei fattori di rischio (o almeno 2 se uno di essi è over 65)” come Malattia renale cronica, Diabete non controllato, Immunodeficienze.
In pratica, a differenza dei vaccini che stimolano i nostri linfociti a produrre attivamente un solo tipo di anticorpi diretti contro il virus, gli anticorpi monoclonali inducono una immunità passiva, in quanto sono degli anticorpi preformati che una volta introdotti nell’organismo sono diretti contro uno specifico agente patogeno, in questo caso il coronavirus, legandosi alla proteina spike, impedendone l’accesso e quindi la replicazione nelle cellule del paziente infettato.
A differenza dei vaccini che inducono una immunità attiva piuttosto duratura, che va da pochi anni a tutta la vita, gli anticorpi monoclonali hanno una durata limitata ad un periodo compreso, a seconda del tipo, tra un paio di settimane e pochi mesi, dopo i quali si distruggono rendendo necessaria una eventuale ulteriore somministrazione.
La loro somministrazione prevede una infusione endovenosa di circa un’ora con un tempo di osservazione tra i 15 e i 30 minuti e va effettuata in ambiente ospedaliero, non in regime di ricovero, oppure in ambulatori medici specificamente attrezzati.
Gli anticorpi monoclonali, soprattutto nella fase iniziale dello sviluppo farmaceutico, hanno un costo per somministrazione molto elevato fino a qualche migliaio di euro.
Gli anticorpi monoclonali sono molto costosi perché la loro produzione richiede una metodica piuttosto complicata. In un animale da laboratorio, normalmente un topo, si induce la risposta immunitaria verso un antigene specifico, somministrando lo stesso antigene agli animali, successivamente vengono prelevati i linfociti del topo.
I linfociti però non sono in grado di proliferare autonomamente in assenza di uno stimolo antigenico continuo. Per sopperire a questa mancanza i linfociti vengono messi in coltura con cellule di mieloma, un particolare tipo di tumore, con le quali si fondono per dare origine a degli ibridomi, cellule capaci di sopravvivere e di replicarsi continuando a produrre anticorpi monoclonali in notevoli quantità.
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