Nel periodo storico meno sociale ma più social di sempre, il malegnese Dario Pezzoni ha deciso di unire la propria passione per la scrittura all’ esperienza di educatore in una comunità di recupero per minori. Il risultato è la nascita di una nuova professione: l’edublogger, o influencer del sociale, usando il gergo da social.
La sfida di Dario è quella di portare anche questioni di un certo peso, come l’educazione, sui social. «Ormai si apre Facebook o Instagram e si vede di tutto, sta diventando sempre più difficile distinguere gli esempi positivi da quelli negativi. Non sono il primo ad avere un’idea del genere, in molti lo stanno già facendo, io sto cercando di farlo diventare un po’ più alla portata di tutti, non è facile parlare di educazione».
Si dice spesso che postare qualcosa sui social equivalga ad urlare in piazza, cosa credi che si debba gridare?
«Direi “siamo persone”, perché per molti è ancora difficile capire dove finisce il virtuale e dove inizia il reale. Continuiamo ad essere persone anche sui social, anche se non ci si può toccare. E poi urlerei anche “aiutiamoci”, perché i problemi si risolvono solo se si fa gruppo. È proprio la base dell’educazione: si cresce bene solo se si ha una rete di persone dietro».
Cosa ti ha lasciato la tua esperienza lavorativa con i ragazzi difficili?
« Mi ha lasciato tantissimo, ed è stato uno dei primi input che mi ha portato ad aprire il blog. Avevo l’esigenza di buttar fuori tutto quello che stavo vivendo: stare a contatto con degli adolescenti che sentono tutto amplificato, ti porta a vivere come loro. Quest’esperienza mi ha fatto capire cosa provano e come pensano i ragazzi, ho capito che vogliono tutto subito, che se sei credibile ti aprono la porta, altrimenti è un lavoro vero e proprio per entrare in relazione. Sono cresciuto anch’io, ho imparato a cucinare, ad esempio. Era una cosa talmente stupida e basilare che non avevo mai messo in campo. Anche il cucinare è diventata un’azione educativa, mi ha permesso di farmi accettare meglio dai ragazzi: un piatto di pasta non scotta è per loro una piccola grande attenzione».
L’adolescenza vista dai margini: di cosa hanno bisogno questi ragazzi?
« Di tempo libero impegnato. Molti sono figli della noia, non sono stati accompagnati in quei percorsi che a noi sembrano scontati, dal catechismo al doposcuola, al calcetto della domenica pomeriggio. E poi, hanno bisogno di esprimere la loro libertà e il loro modo di essere. L’ideale sarebbe riuscire a leggere prima questi bisogni, in modo che la crescita non venga compromessa».
Il cyberbullismo è un po’ la piaga sociale della nostra epoca, come credi che sia possibile arginarlo?
«Bisognerebbe riuscire ad informare più persone possibili, in modo non troppo pressante perché poi si rischia che nasca il pensiero del “a mio figlio non succede una cosa così”. Non serve estremizzare il fenomeno, ci sono molte sfumature di cyberbullismo nelle quali non è difficile incappare. È necessario che le famiglie sappiano come riconoscerlo e come comportarsi, mentre per i ragazzi è necessaria l’educazione digitale».
Una bella sfida quella di Dario, che ha capito quanto sia importante parlare di educazione per poter educare. Un tema delicato che dovrebbe interessare tutti, non solo genitori, insegnanti o esperti nel sociale, perché bambini e adolescenti sono il futuro. E il futuro riguarda tutti.
Maria Ducoli