Questo mese approdiamo nel vivo del Basso Medioevo, periodo che ho deciso di trattare, dal punto di vista stilistico, facendo riferimento ad una delle sue figure più emblematiche: Eleonora D’Aquitania. Nata nel 1122 presso la raffinata Corte D’Aquitania, che per prima diede i natali allo stile poetico dell’amor cortese,
Eleonora non poté che crescere nutrendosi dei dettami di questo stile filosofico, poi sistematizzato da Gaston Pari nel 1883, e che affermava che solo chi amasse sinceramente potesse possedere un cuore nobile che lo ispirasse nelle arti. Considerando che, al momento della sua nascita, non esisteva il francese contemporaneo, ma nel sud della Francia si parlava la Lingua Occitana, Eleonora venne battezzata con l’inusuale nome di Alienor, corrispondente alla definizione di estranea ed aliena. La vita dell’ereditiera proseguì in maniera tranquilla, e con una dedizione totale agli studi e alle arti, fino al 1136, anno della morte di Guglielmo X Duca di Aquitania, suo padre. Assicurandosi che la figlia potesse avere una dote per trovare un buon partito, il padre le lasciò in eredità i titoli di Duchessa di Aquitania, Guascogna e di Contessa di Poitiers, spingendola di fatto a divenire la candidata prediletta per le nozze con il Delfino di Francia Luigi VII.
Il primo sego di diversità che caratterizzò Eleonora fu la volontà, a seguito delle nozze con il Delfino, di mantenere per sé il titolo di duchessa di Aquitania, concedendo al marito solo il titolo di duca consorte.
La seconda caratteristica che ci riporta all’etimologia del nome di Alienor sono le scarse simpatie che si accreditò presso la corte francese, rinomatamente fredda e riservata. Fin dai primi anni del matrimonio, nonostante le scelte politiche inoculate del marito innamoratissimo, alle prese con un’imminente seconda crociata, Eleonora stava portando avanti la sua battaglia per trasformare Parigi in un polo artistico e culturale. Lei stessa si arrogò il compito di diventare una vera e propria mecenate in grado di promuovere artisti e stimolare la sperimentazione. Famosi sono gli aneddoti su balli di corte che terminarono con Luigi VII nell’atto di cacciare da palazzo l’ennesimo trovatore da strapazzo che scriveva versi un po’ spinti sulla moglie, ma questo non deve farvi dubitare delle spiccate capacità della Regina.
Grazie al suo innato senso per l’eleganza, introdusse nel rozzo Nord molte delle abitudini che si era portata dal Sud. Alla dissoluzione dell’impero romano d’Occidente, a seguito dell’occupazione dei territori che finirono sotto il controllo di popolazioni nordiche, si sistematizzò l’evoluzione della tunica, capo d’abbigliamento che sarà centrale nel medioevo, seppur nella sua semplicità. Utilizzata prima come insieme di tessuti cuciti con punti di rinforzo o tenuti insieme da lacci di cuoio, ora inizia ad indicare anche una differenziazione di classe grazie all’applicazione di pellicce. I decori si svilupparono parimente all’occupazione territoriale in quanto, la costante situazione belligerante, portava molte popolazioni ad ornare i propri capi con motivi mitologici o religiosi, volti a scacciare cattivi presagi.
Eleonora D’Aquitania stupì tutti per i suoi strabilianti gioielli, veniva ricordata per indossare sempre rossetto e Khol (la cui origine potete ritrovare nella prima uscita di questo progetto, ora online). Bernardo di Chiaravalle scrisse in merito ai suoi abiti: “non erano solo adorni, ma stracarichi d’oro, argento e pietre preziose”. La stessa Eleonora reinterpretò a suo modo la tunica. Il bilaut, variante di questo capo, consisteva di una veste tubolare stretta in vita da una fascia decorata. Al di sotto dell’abito veniva applicato un corsetto aperto sotto le ascelle e regolabile grazie a dei nastri per decidere l’ampiezza che si voleva dare alla gonna (grazie al cielo queste donne si davano pace perché dovrete attendere almeno fino alla Rivoluzione Francese per ritrovare corsetti altrettanto “comodi”). È chiaro che, per ottenere determinati effetti volumetrici, il tessuto e la sua lunghezza erano di fondamentale importanza. Si utilizzavano sete mediorientali disponibili in tutte le sfumature ed impreziosite da pregiati fili d’oro e d’argento. Questo lusso indignava e non era compreso, un po’ come il new look di Christian Dior nel secondo dopo guerra. La gente non aveva da mangiare e non si poteva immaginare che ci fosse un tale sperpero di risorse per degli abiti che innalzassero l’ego della regina di Francia.
Testimonianze della terza estraneità di Eleonora ci arrivano direttamente dal suo viaggio a Gerusalemme con Luigi VII, effettuato in occasione della Seconda Crociata promossa da Papa Eugenio III e alla quale i reali di Francia dovettero partecipare per evitare la scomunica che incombeva sulla sorella di Eleonora. In quest’occasione, la Regina venne aspramente criticata per gli abiti succinti, per la condotta lasciva e per la quantità di bagagli che si era portata dietro. Il ritorno in Francia rappresentò la definitiva capitolazione del matrimonio, terminato nel 1152.
A sei settimane dall’annullamento, la Duchessa-Contessa non accettò di essere stata usurpata del titolo di regina e sposò Enrico D’Angiò che divenne sovrano d’Inghilterra nel 1154. Il nuovo Re, di tutt’altra pasta rispetto a Luigi e primo di una lunga serie di sovrani che renderanno grande il paese, vedeva nella moglie un insieme di possedimenti, lo stampo per un erede e poco altro. Eleonora approfittò della situazione per ricreare la sua politica culturale in un territorio ancora più inospitale di Parigi, ovvero una corte straniera in cui anche lei veniva accolta come tale. Alienor.
La seconda parte della vita della Duchessa-Contessa e nuova Regina trascorse nel tentativo di fortificare la propria posizione in una corte in cui, dopo i primi anni, le infedeltà del marito arrivarono quasi a far traballare il matrimonio. Per il marito inglese divenne davvero pericolosa quando si schierò con i figli Riccardo Cuor di Leone, Enrico il Giovane e Goffredo, divenuti adulti, nella loro rivolta contro il padre; fu da lui imprigionata e ottenne la libertà soltanto alla morte del consorte crudele, quindici anni dopo.
Liberata ancora nel pieno delle sue energie, a settant’anni iniziò a girare per l’Europa alla ricerca di denaro che l’aiutasse a liberare il figlio Riccardo dalla prigionia. Il suo fascino rimase intatto nonostante gli anni di privazione, dimostrando quanto lo stile non fosse in lei determinato dagli abiti, ma dalla testa. In molti la definiscono la regina ribelle, a me piace ricordarla con le stesse parole con cui si definisce Caterina La Grande interpretata da una fantastica Helen Mirren, nella miniserie Sky diretta da Philip Martin. Di fronte ad un rimprovero avanzato al Gran Duca Paolo che tentava di scalzarla, Caterina afferma: “ho imparato a vivere in un mondo che non mi ha mai accettata”.
a cura di
Enrico Tironi
Studente IULM Milano