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Finalmente soli: “Io e me” Elogio alla solitudine

Il poeta e scrittore John Milton la definiva «la migliore compagnia», in attesa del «dolce ritorno» verso gli altri.
Noi invece la scacciamo e rifuggiamo in ogni modo possibile, sempre connessi e circondati da amicizie virtuali e reali, colleghi di lavoro, amanti e compagnie di ogni tipo.

Da sempre, infatti, la solitudine è connotata in maniera negativa, vista come asocialità o scambiata con forme depressive, e così la solitudine ci appare come qualcosa da evitare il più possibile per stare bene.
E così, spesso, quando siamo costretti a stare soli, crediamo che sia una cosa innaturale, anormale, patologica, assegnando a questo un valore negativo.
Stare soli, è vero, non è affatto facile.
Ci spaventa ‘SENTIRE’ e ‘SENTIRCI’ senza filtri e sovrastrutture, nudi di fronte a noi stessi, privi degli svariati camuffamenti offerti dalla società, esenti da sconti.
Quando siamo soli non abbiamo ruoli sociali con cui identificarci ma il nostro vero sé con il quale confrontarci.
Tutto ciò implica inevitabilmente una presa di responsabilità profonda verso noi stessi e ciò che realmente siamo, i soli e unici responsabili della nostra vita.
Implica onestà e consapevolezza che siamo esseri umani imperfetti, caduchi, corruttibili, tutt’altro che invincibili.
Implica fermarsi a riflettere, venire a contatto con paure, fragilità, insicurezze e sentimenti di inadeguatezza insiti e talvolta radicati in noi che non abbiamo ancora accettato e che forse non accetteremo mai. Si, perché la solitudine ci sbatte in faccia realtà spesso scomode e spaventose, legate al passato, al presente e a quello che potrà essere.
Superando la paura della solitudine, con tutte le sue implicazioni, possiamo scoprire un mondo interno ancora sconosciuto fatto di potenzialità inespresse e ancora da scoprire.
Ascoltandoci in silenzio, distanti dal chiacchiericcio della società che copre la nostra voce con il rumore di conversazioni spesso superficiali, potremmo sentire l’esigenza di seguire passioni tenute a tacere fino a quel momento o ricercarne di nuove. Potremmo avvertire la necessità di esprimerci in modo differente e creativo, di accrescere velleità personali dedicandoci del tempo esclusivamente nostro, in cui nessuno può accedere, è appunto solitudine, ed è sacra.
Ecco che quindi la solitudine diventa stimolo ‘vitae e libertatis’.
Libertà di essere chi si è, e non già chi si deve essere, da maschere e norme imposte da altri, da tutte quelle leggi non scritte che ci dicono come vivere e come comportarci.
Liberi di esprimere appieno la nostra individualità e perché no, la stravaganza che fa parte di ognuno di noi.
Il lavoro introspettivo che la solitudine ci offre è prezioso.
Secondo alcuni studi psicologici, infatti, un quarto d’ora di solitudine al giorno sarebbe un toccasana per l’umore favorendo emozioni di pace, serenità e calma.
Insomma meno stress e più sorrisi per tutti. A garantire poi questo senso di benessere non sarebbe tanto ciò che si sceglie di fare quando si decide di trascorrere del tempo da soli, bensì il senso di libertà che si prova per aver potuto esercitare la propria scelta di “staccare” momentaneamente dagli altri.
In conclusione, purché sia per libera scelta e per un tempo ragionevole, la solitudine ci giova.
Nella compagnia del proprio io, che non ha nulla da spartire con la narcisistica autoreferenzialità, con il ‘super Io’ sempre in azione, il Bello, l’Emozione, il Piacere, si amplificano, non si sgonfiano.
Un altro aspetto ‘pro solitudo’ ce lo ricordano le parole dello scrittore Alejandro Jodorowsky “Per amare, bisogna compiere un lavoro interiore che solo la solitudine rende possibile.” Niente di più vero. Solo smettendo di essere i giudici più severi di noi stessi, accettando i nostri difetti e imparando ad amarci attraverso la solitudine, potremmo apprezzare la mutevolezza e l’altrui imperfezione.
Si rivela, quindi, più che mai reale l’ovvietà che solo imparando a star bene con noi stessi potremmo automaticamente stare bene anche con altri. Mentre, così mi permetto di aggiungere, se abbiamo un vuoto dentro e pensiamo di colmarlo ubriacandoci di ‘like’ e finta compagnia, non possiamo che finire nella palude della vera solitudine.
Pensiamo che lo ‘stare con sé stessi’ equivalga a ‘essere soli’. È vero l’esatto contrario, ovvero: se riusciamo ad apprezzare la nostra compagnia, a scoprire la nostra interiorità, a smussare nel nostro intimo gli angoli che tutti abbiamo, la voglia di stare in compagnia, di non essere soli, è solo destinata a crescere. La solitudine ci permetterà di assaporare l’amaro sapore della separatezza che ci spinge a cercare gli altri, ma ricaricati di nuova consapevolezza.
a cura di ARIANNA SERAFINI
Studentessa in Psicologia Clinica Università di Urbino ‘Carlo Bo’.

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