Il pm Giancarlo Mancusi ha indagato 13 tra medici e infermieri per la morte della piccola Aurora avvenuta il 20 novembre 2018 all’Ospedale di Ponte S. Pietro, quaranta minuti dopo la nascita. Una ginecologa sotto accusa.
L’inchiesta è chiusa con una sola imputata: una ginecologa di 41 anni che prese in carico la mamma fino alle 20, orario della fine del suo turno, e poi entrò in sala parto come medico reperibile. Questo, sulla base delle conclusioni dei suoi due consulenti, secondo i quali la dottoressa interpretò in modo errato il tracciato che monitorava lo stato della bambina e fece la scelta di non procedere con il taglio cesareo. Se fosse stato eseguito entro le 20 molto probabilmente avrebbe salvato la piccola, che non avrebbe avuto gravi ripercussioni se non una lieve acidosi reversibile. Invece, per due ore ad Aurora arrivò poco ossigeno. E questo causò la sua morte, nonostante i tentativi di rianimarla. La dottoressa potrà depositare una memoria difensiva o farsi interrogare dal pm. Poi la procura deciderà se chiedere il processo. Per gli altri indagati ha già chiesto l’archiviazione. Alle 16 la mamma di Aurora entrò in travaglio, un’ora dopo le venne iniziata l’epidurale, il tracciato era regolare, alle 18.40 le viene somministrata ossitocina , alle 20.15 viene sospesa l’epidurale. Dalle 19 la dottoressa avrebbe dovuto rilevare la sofferenza fetale, peggiorata venti minuti dopo, come afferm ala perizia della consulenza del PubblicoMinistero. Non avrebbe dovuto somministrare l’ossitocina, che non serviva. Invece, avrebbe dovuto effettuare manovre di rianimazione in utero, per portare alla bimba l’ossigeno che invece le mancò per due ore.