Abbiamo incontrato l’artista e ideatore del Mercatino Americano Perry Bianchini: scultore, creativo e innovatore senza tempo. Ne è uscita una lunga intervista sull’arte, il vecchio e nuovo Mercatino Americano, un locale di prossima apertura, le origini, la scultura, i volti delle donne, l’anima degli oggetti usati e una breve discussione dall’aria futurista sulle auto come estensione dell’uomo.
Com’è nata l’idea del Mercatino Americano?
A quei tempi ho fatto i più svariati lavori, dal camionista al rappresentante, che mi hanno permesso di girare l’Italia. Quando sono arrivato a Napoli negli anni 60’ approdavano per mare container stipati di vestiti e oggetti: camicie, jeans, scarpe, zaini, sciarpe che venivano mandati dall’America direttamente in Italia – in quel periodo l’America, con il piano Marshall, aveva stanziato un cordone di aiuti per gli stati europei in difficoltà dopo la Seconda Guerra Mondiale – [Ndr]. In Valcamonica pochi possedevano i vestiti di moda in America, erano molto costosi, lo stipendio medio era di circa 70 mila lire. Con il Mercatino Americano ho invertito la tendenza. Sono arrivato e ho messo montagne di camicie e vestiti in un negozio. Prendevo gli abiti usati e mettevo stemmi e toppe, quando il pantalone era piccolo lo sistemavo, allargavo, tagliavo. Rendevo i vestiti originali, li ricreavo. E’ stato un boom: venivano dalla Valtellina per riempire le macchine. Ho cavalcato la filosofia del recupero dell’esistente, di non buttare via ciò che può essere ancora utilizzato. Perché il patrimonio di tutto quello che abbiamo sulla terra è di tutti.
Oggi i social hanno cambiato il modo di fare pubblicità. Come credi sia cambiato negli anni il concetto di comunicazione?
Facevo le prime pubblicità con il Carosello, a metà anni 60’, quando la televisione era ancora in bianco e nero. Andavamo in giro a far vedere le prove dei filmati con delle grandi televisioni su cui trasmettevamo le cassette e dicevamo: “nel futuro sarà così, si potranno vedere da casa le registrazioni su queste cassette”. Erano le prime sperimentazioni in televisione, però mi hanno dato molto, mi hanno fatto capire il valore della pubblicità: fare, farlo bene e farlo sapere. Poi sono arrivate le prime Radio (Radio Valle Camonica, Radio Boario) dove tenevo anche una trasmissione. Oggi i social si sono evoluti e bisogna restare al passo ma il concetto è sempre quello, cambia solo il mezzo di trasmissione.
Perry non è solamente Mercatino Americano ma anche scultura, arte e creatività. La creatività era qualcosa di famiglia?
La mia famiglia non è mai stata di grandi invenzioni ma era molto creativa. Mia madre è stata la prima ad andare a prendere le semenze a Brescia, le divideva raccolte in pezzi di giornale e le vendeva negli orti. Era una creativa, aveva inventato qualcosa di nuovo per il tempo.
Cos’è oggi il Mercatino Americano e come si è evoluta l’idea da cui è nato?
Mi ricordo quando giravo l’Italia come rappresentante del Bianco Sarti. Sono andato in Sardegna per cercare il bandito Sardo Mesina. Al tempo facevamo la pubblicità dove il tenente Sheridan beveva il Bianco Sarti e io volevo fare il contrasto dove anche il bandito lo beveva, ma non l’ho mai trovato. Ricordo però che ci si trovava in certi tuguri e si mangiava la minestra con il capretto, si suonava e si cantava, era bellissimo, si cantavano canzoni sarde e si dovevano inventare le parole. Oggi il Mercatino Americano si è evoluto con le esigenze della gente, è diventato un luogo di aggregazione. Le mie birrerie sono come una grande famiglia in cui nessuno si sente solo. Alla base c’è il concetto di oste, che è fondamentale e si rifà all’idea di recupero delle cose in disuso. I miei ragazzi sono come gli oste del passato. Uno va in birreria e trova l’oste che lo ascolta, passa a bere una birra perché sta bene, perché sente di appartenere a qualcosa, anche se non parla con nessuno. Io non scelgo il mio personale per le competenze ma per quello che trasmette. Non serve qualcuno che la racconti lunga e faccia “il figo” ma qualcuno che sa ascoltare le storie, quello che gli altri hanno da dire.
Ho intravisto un nuovo locale nelle vicinanze del Mercatino Americano. E’ il tuo nuovo progetto?
Si chiama Gatta Buia ed è una nuova birreria, è un progetto che arriva da lontano e riprende la filosofia dell’usato. Tutti gli oggetti che ho utilizzato sono antichi, non c’è niente di nuovo. Sono oggetti segnati dal tempo, hanno un’anima, hanno visto cose e nel loro silenzio trasmettono una storia. L’arredamento è in controtendenza con i pallet e le reti elettrosaldate che sono in voga oggi nella maggior parte dei locali. Devi essere imprevedibile senò sei uno come gli altri, non puoi far la differenza.
Cosa ti ha permesso di capire le tendenze del momento e riuscire ad interpretarle?
Una cosa che mi distingue è l’empatia incredibile che ho verso gli altri: riesco a capire i desideri della persona. Capire l’empatia di una persona permette di capire anche quella di una collettività, un gruppo, una nazione. Cerco di entrare e dare dei consigli, è una roba mia. E’ un viaggio bellissimo perché diventi l’altro.
Ho conosciuto centinaia di persone giocando a poker. Quando giocavo davo la mano solo a chi mi aveva buttato fuori, mai a quello che avevo fatto perdere io: ero serrato, non gioivo neanche quando vincevo un colpo, però sapevo capire i comportamenti in modo incredibile, ero ognuno di loro. Devi sempre tenere un atteggiamento di rispetto anche per gli altri. Quando mi siedo al bar saluto tutti, li conosco, so le loro peripezie. Non devi fare tante cose, devi essere gentile, educato e sorridere. Non serve molto. Si deve esser grandi nelle cose piccole. Se sei gentile fai successo, è puro e matematico. La base è la gentilezza e il sorriso, tutto il resto viene dopo. Ti dirò che ci riesco bene: riesco bene a fare il loro bene. E’ più forte di me e questo mi dà dei vantaggi. Abbiamo tutti le stesse abitudini e necessità, magari non gli stessi vizzi, ma si capisce.
Una tua grande passione è l’arte, che rendi concreta nelle tue opere. Quando hai cominciato a fare lo scultore?
Da ragazzino. Noi facciamo tutto per creare stupore negli altri. Allora c’era la fantasia di scolpire il legno nel bosco, scarabocchiare o incidere qualcosa. Stupire le mie sorelle mi ha allenato alla creatività. Non lo facevo per me, stimolavo la mia fantasia per stupire loro, per essere a mia volta stimolato. La prima scultura l’ho fatta in legno con la Franca Ghitti al club del Tarol (il tarlo del legno [Ndr]), che allora era un club sotto l’artigianato camuno. Ho fatto anche una mostra con lei, al palazzo degli Uffici a Breno, con gli artisti del primo Novecento: c’era Guttuso, Carrà, Bedini. Aveva fatto venire tutti questi artisti e c’ero anch’io, avevo più o meno 25 anni, ormai 50 anni fa. E’ stata una soddisfazione, erano gli inizi.
Le tue sculture non sono più in legno…
Ho cominciato con il legno ma avevo bisogno di particolari, avevo bisogno di fare qualcosa di complicato, di particolare: l’espressione del muscolo che nella disperazione si gonfia, il tormento. Io le donne non le faccio molto sorridenti, la donna tendenzialmente ha delle grandi responsabilità. Il legno non mi dava soddisfazione e son passato alla terracotta.
La donna è quindi l’oggetto delle tue opere?
Le mie sculture sono solo donne, visi di donna, espressioni del volto femminile. Mi rifaccio al Masaccio, che ha dipinto la cacciata dal paradiso 600 anni fa. Nell’affresco sono ritratti Adamo ed Eva mentre l’angelo adirato con la spada li scaccia dal giardino dell’Eden: sono entrambi nudi ma l’uomo copre il viso perché è lì che ha pudore, mentre la donna nasconde il corpo e sul viso lascia vedere tutta la sua anima. Non si possono esprimere solo due parole sulla donna. L’uomo è elusivo nei confronti della donna, non l’accetta perché è verità.
Come avviene l’atto creativo? Immagino che nel tempo hai acquisito un certo processo di creazione.
Oggi ho la mia alchimia: faccio la scultura e la metto in prima cottura, poi passo alla seconda cottura con delle cristalline e delle ceramiche per creare un particolare effetto. Le trucco come voglio, con tutti i particolari, la cuocio nuovamente a 1800 gradi e la metto sottoterra con delle foglie e della paglia, copro tutto e tolgo l’ossigeno. Senza ossigeno non brucia e non diventa cenere ma si carbonizza: il carbone in polvere entra nei pori della scultura e la rende viva. Alcune opere escono difettate, a volte trovo un cavillo, delle pieghe, delle rotture, delle alchimie, diventano uniche.
Che rapporto hai con le tue opere e quante ne hai fatte fino ad ora?
Mi diventa sempre difficile vendere le mie opere. Ho fatto centinaia di sculture, ho un magazzino pieno. Ho bisogno di avere pezzi per le esposizioni. Sono stato l’unico vivente a fare un’esposizione al Palazzo Martini a Brescia. Ricordo che venivano le persone ed erano stupite nel vedere l’artista ancora in vita, gli rispondevo “si, sono io, sono ancora vivo”. Nei paesi ho fatto un’infinità di mostre, al tempo c’erano le estemporanee, dove realizzavi al momento un’opera che poi, se vincevi la manifestazione, vendevi. Si andava da una parte all’altra, si veniva ospitati a Bologna, Firenze, Venezia, Roma. A Venezia ho fatto talmente tante mostre che infine mi sono deciso a comprare un appartamento. Allora si era ospiti di alcune comunità religiose di fianco all’Arsenale.
Che rapporto c’è tra il ruolo di commerciante e quello di artista?
Diciamoci la verità: vivere solo di arte è difficile. Uno arriva a farsi una filosofia rispetto a situazioni sociali e famigliari. A volte dai poca importanza a quello che invece dovrebbe esserlo. Io ero arrivato al punto di dire che non esisteva l’arte, a considerarla solamente come un presupposto di colori che uno mette insieme, ma non era reale, era oggetto della vita che non mi permetteva di fare arte, perché al tempo non potevo viverci, dovevo pensare a lavorare. Prima facevo l’artista, ero un po’ Bohemien. Quando è arrivata la prima figlia però ho dovuto pensare a lavorare, dovevo concentrarmi, non avevo tempo di fare arte. Mi dicevo “ma quale arte, fai il tuo lavoro”. L’arte è però la mia passione, essere solo un commerciante non mi basta perché con i negozi è come avere una tavolozza con solo tre colori anziché l’intero spettro. Anche la scelta del colore è di per sé espressione d’arte. Anche nella scelta c’è creatività, devi abbinare il piacere. Fa la differenza come proponi le cose.
Parliamo un po’ dei viaggi che hai fatto, del rapporto che hai con il viaggiare.
Viaggiare è sempre stato pesante, perché viaggiare è di per sé pesante. Però la curiosità mi ha permesso di superare questa mia insofferenza. Ad esempio: quando giocavo a golf pensavo che in tutto quel tempo avrei potuto fare qualcosa che rimane, come una scultura, ma non potevo solamente scolpire. Lo stesso è viaggiare. Sei obbligato ad andare anche a curiosare, vedere delle mostre, parlare con le persone. Tante volte vado anche a vedere i negozi, gli artigiani, la loro arte. Una volta a Firenze o Parigi si raggruppavano tutti gli artisti perché si contaminavano con l’arte. Al giorno d’oggi non funziona più così, devi farti contaminare da tutto, devi continuamente ricercare e farti coinvolgere. La vita non si misura con le sculture che hai fatto o gli anni che hai, ma si misura in emozioni, per provare emozioni non puoi stare seduto al bar a giocare a briscola. E’ una crescita continua. I miei successi sono la mia fortuna, uno che va a letto la sera sfregandosi le mani perché finalmente è al caldo vuol dire che non è cresciuto neanche un po’, si cresce solo con i disappunti e le insoddisfazioni, quando capita qualcosa, anche di brutto, arrivi alla sera e sei comunque cresciuto. Io ho la sensazione di esserci. È una cosa particolare.
[Ndr] arriva un amico di Perry, docente di arte in un liceo di Brescia. Ha appena comprato una Peugeot Cabriolet decappottabile e ne nasce una discussione dalle arie futuriste sulla macchina e l’oggetto come estensione dell’uomo.
E’ bellissima. La macchina è un po’ il prolungamento dell’essere umano. Mentre una volta era solo un mezzo di trasporto oggi è una protesi umana, come lo sono gli occhiali o una moto o le scarpe. Sono estensione della persona. Racchiude il pensiero di chi l’ha comprata. Tu ti sei già immaginato quando la scappotterai, andrai in giro con il vento sulla faccia, il cappellino e il giubbotto in pelle tra il sole che illumina la carrozzeria lungo il lago.
Chiudiamo con l’ultima domanda. Quali sono le tue fonti di inspirazione, i personaggi che sono stati per te fondamentali e da cui hai tratto spunto?
Se io avessi un idolo, una sola persona da seguire, non crescerei più. Non devi avere ammirazione solo per qualcuno. Io sono un po’ tutto. Se ti leghi solo ad un personaggio come fai a crescere? Sei lì, non ti muovi. Devi ammirare tutti. Quando vado in giro mi inspiro agli artigiani, a chi fa qualcosa con emozione.