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altitudine e cuore

Altitudine e malattie cardiovascolari

Una domanda molto frequente che i pazienti cardiopatici o ipertesi pongono al proprio medico è : con la mia malattia posso andare in alta montagna?
Innanzitutto cerchiamo di capire cosa si intende per alta montagna con una classificazione dell’altitudine. Viene definita “altitudine bassa” quella fino a 1500 m.
“altitudine moderata” tra 1500 e 2500 m “altitudine elevata” tra 2500 e 3500 m “altitudine molto elevata” tra 3500 e 5800 m, “altitudine estrema” tra 5800 e 8000 m. Al di sopra degli 8000 m si creano delle condizioni incompatibili con la vita, tranne che per soggetti molto allenati.
Con l’aumentare dell’altitudine,diminuiscono progressivamente la pressione barometrica e il contenuto di ossigeno nell’aria. L’organismo risponde allora mettendo in atto dei meccanismi di compenso fisiologici che si distinguono in immediati e a lungo termine. I meccanismi immediati sono rappresentati da un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca che hanno lo scopo di mantenere costante l’apporto di ossigeno ai tessuti. A poche ore dall’arrivo in alta quota e per tutto il periodo di permanenza si ha un aumento significativo e persistente della pressione arteriosa, proporzionale all’altitudine raggiunta. L’aumento pressorio è più evidente durante il sonno , portando così ad una riduzione del fisiologico calo della pressione durante le ore notturne. Uguale variazione la subisce la frequenza cardiaca sia a riposo che durante lo sforzo.
Il più importante meccanismo di compenso a lungo termine è l’aumentata produzione di eritropoietina da parte dei reni. Si tratta di una sostanza che stimola il midollo osseo a produrre una maggiore quantità di globuli rossi, aumenta quindi l’ematocrito ( parte corpuscolata del sangue) e la concentrazione nel sangue di emoglobina, sostanza che conferisce il colore rosso al sangue e che trasporta l’ossigeno ai tessuti. Le malattie cardiovascolari più frequenti che possono risentire negativamente dell’alta quota sono l’ipertensione arteriosa e la cardiopatia ischemica. Nei soggetti ipertesi il fisiologico aumento della pressione arteriosa in alta quota è più marcato per cui è fondamentale controllare i valori pressori prima e durante il soggiorno .Se si assume una terapia anti ipertensiva valutare caso per caso se vada modificata in quota su consiglio del medico. Questo è il caso soprattutto dei pazienti con un elevato rischio cardiovascolare, per i quali una destabilizzazione in quota potrebbe rappresentare un problema. Non è il caso del giovane iperteso a basso rischio, per il quale anche un rialzo pressorio in quota di pochi giorni non rappresenta un vero problema. Pazienti che hanno subito un infarto e\o sono stati sottoposti a rivascolarizzazione tramite by pass, devono attendere almeno 6 mesi prima di salire ad alta quota (sopra i 2500m). L’attesa sale a 12 mesi se il paziente è stato sottoposto all’impianto di uno stent coronarico. L’autorizzazione va sempre data comunque dal cardiologo e dal medico di famiglia.
Raccomandazioni valide per tutti i cardiopatici, ma anche per i soggetti sani sono:
1) Salire lentamente, è prudente non superare i 300\500 m\die dopo i 2500 m.
2) Curare l’alimentazione che deve essere leggera con sali minerali,vitamine e contenuto bilanciato di zuccheri proteine e grassi di facile digeribilità
3) Bere molta acqua
4) Evitare il fumo e gli alcolici, soprattutto nei mesi freddi perchè l’alcool, dà una momentanea sensazione di calore indotta dalla vasodilatazione cutanea, ma proprio la vasodilatazione cutanea induce una maggiore dispersione di calore con maggior rischio di congelamento e assideramento.
5) Non stancarsi troppo, una volta raggiunta la quota evitare di svolgere attività fisica intensa immediatamente, ma prendersi un periodo di riposo e acclimatamento di almeno 24 ore.

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