(Adnkronos) – Un nuovo allestimento dell'Attila di Giuseppe Verdi debutta al Teatro La Fenice: la messinscena della nona opera del bussetano – seconda, in ordine cronologico, delle cinque composte per il Teatro veneziano – porta la firma del regista Leo Muscato, con le scene di Federica Parolini, i costumi di Silvia Aymonino e il light design di Alessandro Verazzi: anche questa produzione ambirà a entrare nel novero del repertorio ‘stabile’ del Teatro veneziano. L'interpretazione musicale sarà affidata a Sebastiano Rolli, uno dei più promettenti e talentuosi direttori verdiani, che guiderà un cast composto per i personaggi principali da Michele Pertusi, Anastasia Bartoli e Antonio Poli. Le repliche al Teatro La Fenice saranno cinque: i 16, 18, 20, 22 e 24 maggio nell'ambito della Stagione Lirica e Balletto 2024-2025. Dramma lirico in un prologo e tre atti, su libretto di Temistocle Solera e Francesco Maria Piave tratto dalla tragedia Attila, König der Hunnen (Attila, re degli Unni, 1808) del poeta tedesco Zacharias Werner, Attila esordì proprio alla Fenice, il 17 marzo 1846 ed entrò ben presto in repertorio, in quanto emblema della cosiddetta ‘opera patriottica’. Questa nuova rivisitazione dell'Attila di Verdi consentirà dunque al Teatro La Fenice di ripercorrere una tappa della propria storia, e ai veneziani stessi di riflettere sulle origini e la storia della loro città lagunare. Nel prologo dell'Attila, ambientato nel quinto secolo dopo Cristo, si racconta infatti dell’arrivo degli aquileiesi scampati al ‘flagello di Dio’ sulle sponde di Rio-Alto, nelle «Lagune Adriatiche»: è la ‘mitica’ storia della fondazione di Venezia, solo recentemente smentita dagli archeologi. Naturalmente, la scoperta del ‘falso storico’ su cui si basa l’Attila nulla toglie al valore del titolo verdiano: sappiamo per certo, infatti, che ciò che appassionava Verdi non fosse la veridicità storiografica della vicenda narrata, quanto piuttosto la plausibilità dell’immagine storica rievocata in scena, in direzione di un realismo visuale che è l’istanza sempre più imprescindibile del teatro di quel periodo. Il regista Leo Muscato spiega ancor meglio le caratteristiche intrinseche dell’opera e della sua lettura registica: «A guardare l’opera, non si racconta la nascita di qualcosa, ma la fine: la fine di un mondo, la fine di un ordine, la fine di ogni certezza. Attila sprigiona ovunque un senso di devastazione: Verdi costruisce la partitura su tonalità minori, timbri orchestrali gravi, un suono denso e opprimente che non concede mai veri spazi di luce. Dal punto di vista drammaturgico, è un mondo senza eroi positivi e senza possibilità di redenzione: anche i personaggi che dovrebbero rappresentare la ‘civiltà’ sono preda di tradimenti, ossessioni e corruzione. Non è un caso che Attila cominci e finisca nel caos, senza mai trovare un vero equilibrio. Non c’è catarsi. Non c’è una rinascita che ripari la rovina: c’è solo una fragile sopravvivenza, una fuga verso qualcosa di nuovo che resta tutto da inventare. In Attila, il mondo intero è collassato, e la musica di Verdi non cerca di consolarci. Per fortuna, in molti momenti, è semplicemente bellissima». Il direttore d'orchestra Sebastiano Rolli sottolinea altri aspetti affascinanti di questa pagina verdiana, da diversi punti di vista: «Per la prima volta la messinscena si mette a servizio della partitura. Per concentrare il discorso narrativo il compositore si serve di mezzi musicali che permettano la sintesi delle situazioni drammatiche e non consentano il minimo cedimento. Ad esempio, la fine della prima scena del primo atto si collega a quella successiva attraverso il re bemolle dell’intera orchestra all’unisono che la conclude, la stessa nota aprendo quella successiva sempre in un unisono affidato, stavolta, a viole e violoncelli. Siamo in due punti diversi del campo di Attila: Verdi, che ha sempre presente il punto di vista di chi vede e ascolta, vuole creare continuità fra le scene affinché l’attenzione non cali; ci porta in luoghi diversi con la rapidità del montaggio cinematografico. Con quest’opera e in questo teatro si pone una pietra fondamentale verso la costruzione di quel dramma musicale che negli stessi anni e a molti chilometri di distanza anche Richard Wagner cominciava a concepire. Venezia è città cara a Wagner e Verdi, i due giganti raggiungono la stessa vetta percorrendo i due lati opposti del monte». Nella compagnia di canto di questo nuovo allestimento di Attila figurano il basso Michele Pertusi nel ruolo eponimo, il baritono Vladimir Stoyanov in quello del generale romano Ezio, il soprano Anastasia Bartoli incarnerà Odabella mentre il tenore Antonio Poli sarà Foresto. Completano il cast il tenore Andrea Schifaudo nelle vesti di Uldino e il basso Francesco Milanese in quello di Leone. Maestro del Coro Alfonso Caiani. —spettacoliwebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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