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È difficile pensare alla lana come a un rifiuto. Eppure accade in Italia, dove ogni anno 8.700 tonnellate di lana – e il dato è sottostimato – finiscono in discarica, disperse in ambiente, sotterrate o bruciate.

Si tratta di fibra di bassa qualità proveniente dalla tosatura di 7 milioni di pecore italiane. Un materiale rustico, poco appetibile per il mercato del tessile e dell’abbigliamento, specie se confrontato con le fibre finissime e pregiate provenienti da Australia e Argentina.

In realtà da queste quasi 9.000 tonnellate di lana buttata via (12.000 secondo altre stime), si possono ricavare più 5.000 tonnellate di fibra.  Dal riutilizzo si possono ricavare qualcosa come 15 milioni di metri quadri di tessuto, dando vita a una filiera sostenibile e circolare. Tanto più che recenti sperimentazioni hanno dimostrato che è possibile migliorare le caratteristiche della lana italiana rendendola più morbida.

La lavorazione della lana locale non viene più praticata da decenni nei nostri territori montani, considerato che questa attività risulta antieconomica e poco produttiva, anche considerata laridotta quantità di materiale lavorabile disponibile. Al fine tuttavia di rilanciare la cultura e le tradizioni locali, come promosso anche dal MUS di Livigno, risulta importante reintrodurre la lavorazione di prodotti locali come anche la lana, permettendo altresì di evitare che tale prodotto grezzo derivante dal gregge locale venga smaltito senza essere valorizzato.

L’obbiettivo di un bando – promosso dal comune di Livigno . è quindi quello di stimolare e sostenere attività che puntino alla reintroduzione della lavorazione della lana locale, andando anche ad incentivare sinergie con il MUS di Livigno.

In particolare il bando vuole sostenere coloro che intendano reintrodurre la lavorazione della lana locale, anche in quantità limitate, rendendola utilizzabile per i successivi processi di lavorazione quali la produzione di lavori a maglia, panno, etc.

Possono presentare domanda di contributo le micro imprese singole o aggregate, che operano o che intendono operare nel campo tessile, della sartoria e/o comunque della lavorazione della lana o similari, che abbiano la residenza o almeno una sede operativa nel Comune di Livigno o Valdidentro.Le risorse complessivamente stanziate per l’iniziativa sono messe a disposizione dal Consorzio BIM dello Spoel.

Le domande dovranno essere presentate in busta chiusa recante la scritta “DOMANDA BANDO PER LA VALORIZZAZIONE DELLA LANA LOCALE – BIM SPOEL” : dalle ore 14.00 del 24.01.2023 alle ore 12.00 del 13.02.2023 presso l’ufficio protocollo del Comune di Livigno in Plaza del Comun, 93 – 23041 Livigno (SO).

 

Un po’ di storia dedicata ad un prodotto che, a volte, determinava la diversità e l’appartenenza ad un ceto sociale  

Ancora oggi, le moderne metodiche di produzione custodiscono i segreti dell’arte della lavorazione della lana, patrimonio di conoscenze antichissime.

Certo nessuno lo pensa, eppure acquistare un capo d’abbigliamento di pura lana è un po’ come comprare un libro di storia. Esistono, infatti, reperti risalenti al 5000 a.c. che testimoniano l’uso di questa materia prima. Sono i Babilonesi (Babilonia significa “terra della lana”) a scoprire un po’ alla volta l’arte della lavorazione: a quei tempi ci si limitava ad attorcigliare con le dita i batuffoli, stirandoli in modo da ottenere fili che poi venivano intrecciati fino a formare tessuti grezzi, ma molto caldi ed adattabili al corpo.

Nel corso del tempo, le tecniche subirono un’evoluzione e un affinamento, fino ad arrivare ad una serie di operazioni che ancor oggi resistono immutate: si iniziava con la tosatura, che veniva fatta due volte all’anno (a fine marzo-inizio aprile e a fine settembre-inizio ottobre) con le tradizionali cesoie, soppiantate poi dalle forbici da sarto e dalla moderna tosatrice elettrica.

La lana raccolta veniva deposta in contenitori, come un sacco o una gerla, lavata e cardata, cioè pettinata, allo scopo di sciogliere i nodi, districare e allineare le fibre.

A questo processo seguiva poi la filatura che, tradizionalmente, fino a pochi decenni fa, era eseguita dalle donne e dalle ragazze del paese che si riunivano la sera, spesso in una stalla, per risparmiare insieme riscaldamento e luce. La tessitura, infine, ne concludeva la lavorazione.