Jennifer cammina veloce e parla piano, la mascherina che nasconde – ma non troppo – due guance che arrossiscono. È molto introversa e chi l’avrebbe detto che si sarebbe ritrovata a parlare di sé in questo modo, in un pomeriggio di febbraio in cui la primavera sembra essere scoppiata tutta all’improvviso? Eppure.
Jennifer cela dietro alla sua pacatezza – all’equilibrio apparente che gli altri spesso le attribuiscono- un fiume in piena, da cui ci si lascia travolgere volentieri. Racconta di come avesse scelto la facoltà di infermieristica dopo cinque anni di ragioneria, o meglio: di come la facoltà di infermieristica avesse scelto lei. L’Istituto Clinico San Rocco la vede entrare subito dopo la laurea, e crescere in men che non si dica. Inizia facendo l’infermiera in rianimazione, poi si appassiona al lavoro d’area critica e si iscrive ad un master di I livello. Dopo essere diventata coordinatrice del proprio reparto, entra in direzione sanitaria. Un mondo di uomini, non il più facile nel quale inserirsi. A maggior ragione se hai 26 anni e vieni dalla Valle Camonica. E sei tatuata. Jennifer è fortunata, perché incontra un superiore che la stima e la sprona dal primo istante. Nonostante questo, le difficoltà a farsi accettare in un mondo di giacche e cravatte ci sono, ovviamente. Se la selezione naturale si basa sulla specie che meglio si adatta all’ambiente, Jennifer vince perché si adegua senza sacrificare la propria unicità.
Il suo non è un lavoro facile o allegro. Ogni giorno vede la sofferenza, la sfiora e non si allontana, non scappa, perché sa – e lo dice con la serenità di chi si è persa almeno una volta nella propria profondità per capirlo – che la vita è afflizione. Ma lei è un’ottimista nata, e vede sempre il bicchiere mezzo pieno. La metà vuota è semplicemente una metà che aspetta di essere riempita da tutte quelle piccole cose a cui fa caso, mentre si sistema gli occhiali e continua a camminare.
Anche quando racconta dei momenti difficili dell’ultimo anno, dallo scoppio dirompente della pandemia lo scorso marzo fino al nuovo aumento dei casi – una sorta di rubinetto che perde, provocando quel rumore insopportabile di gocce che cadono una alla volta – non riesce a non scorgere le sfumature positive. Perché quando torni a casa sconsolata, dopo aver visto un effetto domino travolgere il mondo, devi trovare qualcosa a cui aggrapparti. Il Covid le ha fatto riscoprire il calore delle persone, dei colleghi e della famiglia. E ha capito che il per sempre non esiste, che domani fa paura e che, allora, è meglio pensare ad oggi. E poi, Jennifer ha avuto la certezza di aver scelto la professione giusta e si è accorta di come la faccia star bene aiutare gli altri, anche al di fuori del lavoro. Che nessuno però provi ad aiutare lei, vuole farcela da sola. Ma poi tira un sospiro di sollievo quando può mostrare una piccola parte di quell’abisso che nasconde con cura, senza essere guardata come un’aliena. Sorride quando chi ha davanti fa anche solo un cenno di aver capito la sua profondità: non è per nulla facile essere se stessi.
Jennifer è fortunata: quando si ha accanto delle persone che ti spingono in alto, non serve nemmeno prendere la rincorsa. Eppure, lei sembra sempre correre, non sta ferma. Ogni giorno si slancia verso traguardi sempre più difficili, perché la sua introversione non le impedisce di essere ambiziosa. D’altronde, non basta sbattere le ali per volare: bisogna spiccare.
Maria Ducoli