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Ristorante LA PIANA di Sorisole. Una scommessa tutta al femminile

Chi varca la soglia del Ristorante La Piana, varca la soglia di casa nostra e assapora la tradizione”. Questa è una frase che sintetizza la mission di un’impresa tutta al femminile e familiare che porta alla rinascita di una struttura alberghiera, chiusa da più di quattro anni, nel centro di Petosino in Via Martiri della Libertà. Assieme a Sabrina e Alessandra, madre e figlia, ma soprattutto responsabili della gestione dell’ Albergo di Villa Priula e del Ristorante La Piana, ripercorro la storia di questa scommessa imprenditoriale tenendo come punto di riferimento l’importanza del riscoprire le origini.

Partendo da una frase che ci riporta alla soglia di casa, mi sorge spontaneo chiedermi se sia facile coniugare accoglienza, qualità dei servizi e tradizione.

S: L’accoglienza è da sempre il filo conduttore in dodici anni di esperienza nel settore. Abbiamo realizzato col tempo che tutti sono capaci di offrire una stanza pulita, ma non tutti sono in grado di fare una buona accoglienza. Questo vale ancora di più nei B&B, strutture con un front desk tendenzialmente meno impostato rispetto a quello di un hotel e luogo che si confronta spesso con persone che non viaggiano solo per piacere, ma anche per lavoro. Chi accoglie in un B&B dovrebbe aver chiaro il concetto di condivisione di spazi e soprattutto tempo. Quest’accoglienza per noi è futuro del turismo in Italia, paese che da sempre associa la tradizione a un clima familiare.

A: La familiarità passa anche dalla capacità di instaurare un rapporto quasi amicale con il cliente che, per via delle numerose convenzioni che poniamo in essere anche con aziende, molto spesso tende a tornare. Sotto questo punto di vista, l’accoglienza assume una sfumatura ancora più importante, diventa quasi una sfida in quanto ti pone di fronte alla necessità di presentarti sempre in modo impeccabile al cliente anche quando magari, dal punto di vista personale, la giornata non è andata per il verso giusto.

C’è una scelta strategica dietro alla decisione di rilevare questa struttura?

S: La scelta in realtà è stata abbastanza “casuale”. Ho visto questa struttura funzionare per diversi anni e poi chiudere improvvisamente. Un giorno, mentre vi passavo davanti, mi sono detta che forse era il caso di ridargli una seconda vita.

A: Dietro a tutto c’era anche la spinta verso un progetto nuovo rappresentato dal ristorante. Noi siamo albergatrici da anni, ma non siamo mai state ristoratrici.

Di sfide ne avete affrontate molte dall’apertura, soprattutto sul fronte del ristorante con una miscela interessante tra tradizione e innovazione.

S: C’è da dire che non ci piace vincere facile (ridendo). Riprendere una struttura dopo quattro anni di chiusura riuscendo a riconsolidare la fiducia della domanda sul territorio non è stato affatto facile. La sfida più grande per noi è però quella di riuscire a sfatare l’idea, tutta italiana, che la cucina di un albergo sforni lo stretto necessario a sfamare gli ospiti in modo spesso discutibile in termini di gusti e accostamenti. Un retaggio degli anni passati. Nelle grandi città questo luogo comune è stato sfatato, assistiamo infatti a grandi hotel che accolgono nelle loro cucine chef stellati, ma che soprattutto accolgono nelle loro sale anche persone che non sono necessariamente ospiti della struttura alberghiera.             Noi abbiamo volutamente mantenuto distinte le due identità, quella del Ristorante La Piana e dell’Hotel Villa Priula. Per i nostri clienti il ristorante non deve necessariamente gravitare attorno all’albergo e viceversa.

Per quanto riguarda invece tradizione e innovazione nell’ambito culinario? Immagino che non sarà stato facile inserirsi in un contesto locale portando una ventata di innovazione.

A: Nella nostra comunicazione social utilizziamo un hashtag chiamato #riscoprendoleorigini. Per noi le radici sono fondamentali. La domenica noi proponiamo un menù della tradizione in cui inseriamo piatti classici bergamaschi con alcune modifiche, se ci possiamo concedere il termine. Faccio un esempio. Noi soddisfiamo il palato che cerca il classico casoncello alla bergamasca, ma lo sorprendiamo offrendoglielo con un ripieno di pecora gigante, un tipo di pecora che potremmo definire a “chilometro zero” in quanto viene allevata qui sul Canto Alto. Si va sempre sulla territorialità, portando però qualcosa di nuovo.

Avete parlato di prodotti a chilometro zero, ma per quanto riguarda il lavoro? Questa nuova esperienza imprenditoriale è riuscita a creare un circolo virtuoso in termine di creazione di impiego sul territorio?

S: Quasi tutte le persone che lavorano qui provengono da paesi limitrofi se non addirittura da Petosino. Prima di tutto per noi è importante la vicinanza, cerchiamo di creare un clima lavorativo piacevole in cui una persona non debba fare le ore per arrivare fin qui.            Abbiamo poi una storia molto particolari che è quella di John, un rifugiato politico della Nigeria, ospite della comunità di Don Resmini, che ha da poco ottenuto il permesso di soggiorno. Lavora da noi come lavapiatti, ha una grandissima voglia di fare e noi lo abbiamo da subito accolto a braccia aperte. Quest’esperienza ci permette di ragionare su un piano molto sensibile, ma che è sempre correlato al territorio ovvero il reintegro, all’interno del tessuto sociale, di persone che provengono da realtà difficoltose.

Per quanto riguarda l’aspetto della comunicazione digitale, ho potuto individuare una tendenza a creare contenuti di presentazione del vostro staff, quasi la loro storia venisse servita ai clienti come fosse una pietanza o un menù.

A: Esatto! Noi abbiamo intrapreso un progetto intitolato La Piana in giro per l’Italia e per il mondo. Continuiamo nel nostro obiettivo di innovare la tradizione, ma due volte al mese creiamo anche delle serate con cucina tematica tendenzialmente ispirata alle regioni di provenienza di chi lavora con noi. Ognuno di noi ha diverse storie da raccontare, anche gastronomiche. Siamo partiti con Alicia, la nostra cuoca di origini argentine che ha creato un menù ad hoc per una serata sud americana, poi abbiamo continuato con Roberta che ci ha introdotto alla cucina emiliana. Con Olga siamo approdati alla serata siciliana, essendo lei di origini palermitane. Il 3 agosto ci sarà la serata campana con Davide.           Ci piace far conoscere ai nostri clienti la nostra grande famiglia, ma come in ogni famiglia che si rispetti anche l’interazione è importante. Molto spesso, soprattutto la sera, quando capitano diverse prenotazioni singole, tendiamo a creare dei “tavoli dell’amicizia” in cui si cerchi di mettere da parte per un attimo il cellulare con l’obiettivo di fare nuove conoscenze. Chiaramente questa è una scelta fatta in relazione ai gusti del cliente, ma ha spesso sortito gran successo.

La vostra famiglia allargata, se così possiamo definirla, come lavora oltre le porte della cucina?

S: molte volte dalle cucine si sentono le risate che arrivano in sala e gli aneddoti, in questo senso, si sprecano. Mi basta dire che lavoriamo con dei valori e ciò che rende il clima equilibrato è la consapevolezza di poter dire sempre la propria opinione nei dovuti modi e luoghi e soprattutto nel rispetto di tutti. Al di là di questo, le uniche parolacce che girano in cucina sono cuoricino e amore della mamma (ridendo).

A: molto spesso sono io che mi occupo delle interviste e della creazione dei contenuti social per le serate. In queste interviste emerge spesso la soddisfazione di chi lavora in questo ristorante e per noi è come la cartina al tornasole del fatto che stiamo andando nella giusta direzione.

Qual è un obiettivo che vi ponete per il futuro?

S: consolidare tutto il bel lavoro che stiamo facendo con il bacino di utenza proprio del territorio. Abbiamo voglia di imporci diventando un punto di riferimento.

A: non posso che tornare a quanto detto all’inizio, noi vogliamo diventare una certezza per chi vuole mangiare bene e sentirsi a casa.

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