Sono stati affissi nella giornata di ieri giovedi 13 febbraio i manifesti che aprono i comizi elettorali in vista del referendum del prossimo 29 marzo, quando saremo chiamati ad esprimerci in merito all’applicazione della legge che prevede la riduzione di 345 parlamentari. Il referendum non ha bisogno di quorum per essere valido, indipendentemente dal numero dei votanti vince chi si classifica con maggiori preferenze. Il risparmio per le casse pubbliche si aggira intorno ai 100 milioni l’anno.
Ma non fermiamoci solo al risparmio. Fosse solo questo il metro per valutare la bontà dell’iniziativa proporremmo di ridurre un maggior numero di parlamentari; perchè non 500 o 600 oppure 700. E’ il solito pannicello caldo che ci viene passato sperando di guarire da un brutto male. Il problema vero è il ritorno alla preferenza. Oggi come oggi siedono in parlamento onorevoli e senatori che sono stati nominati e non eletti dal popolo. Quindi non rispondono al territorio, non devono impegnarsi nella raccolta delle istanze dal basso. Basta siano fedeli al segretario che li tiene ben stretti con la minaccia di non inserirli più nei posti che contano in lista. L’elettore non conta più nulla, non decide chi premiare, in pratica non ha potere. Ci abbagliano con il risparmio di una manciata di milioni, quando, per riaprire una partecipazione democratica bisognerebbe cacciare a casa quella marea di ruffiani, incapaci nominati dal capopartito. E’ un ulteriore sbaglio che si somma a quello già consumato con le Province svuotate di ogni potere reale mentre si continuano a tenere in vita le Comunità Montane, i Consorzi, le partecipate.”L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare” direbbe Bartali. Noi, agonisticamente, non saremmo mai stati al suo livello, ma ci tocca pedalare, pedalare e ancora pedalare