Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute, torna ad accendere i riflettori sulla diffusa violenza psicologica cui sono sottoposte molte delle oltre 65.000 donne in Italia, di cui oltre 11.000 solo in Lombardia, che ogni anno vogliono interrompere la gravidanza. Dopo le tappe di Roma e Parigi lo scorso autunno, e quella di Torino a marzo, il 21 maggio arriva per la prima volta a Milano la speciale installazione di Medici del Mondo: una teca trasparente che riproduce un piccolo ambulatorio ginecologico, allestita in Piazza Duca d’Aosta, dove dalle 10:30 alle 19:00 sarà possibile ascoltare le frasi realmente pronunciate dal personale sanitario, come “Doveva pensarci prima!”, “Ti sei divertita, ora paghi”, “Deve sentire il battito del feto, è fondamentale!”, “Siamo donne, dobbiamo soffrire”. Si tratta di testimonianze reali di donne che, a fronte del proprio diritto di richiedere un’interruzione volontaria di gravidanza, hanno subito abusi e violenze inaccettabili, da Nord a Sud della Penisola. L’installazione fa parte della campagna “The Unheard Voice” che Medici del Mondo ha lanciato lo scorso settembre per denunciare le barriere che ostacolano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in Italia e far ascoltare cosa realmente accade nelle strutture sanitarie, in cui la voce delle donne viene spenta per far sentire loro il “battito fetale” o le parole violente di chi vuole negare il diritto all’aborto.
L’iniziativa vedrà gli interventi di Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia, di Giulia Crivellini, avvocata e co-fondatrice della campagna Libera di Abortire, del Consigliere Regionale Luca Paladini (Patto Civico) e della comica Laura Formenti, ambassador della campagna, nonché la partecipazione di diverse personalità politiche. Nell’occasione, verranno presentati dati e testimonianze raccolte sul campo, offrendo un quadro chiaro dell’impatto delle politiche antiabortiste in Italia e sul territorio regionale, proprio nella vigilia del 47° anniversario dell’approvazione della legge 194 che dal 22 maggio 1978 permette di interrompere volontariamente la gravidanza. Almeno, in teoria: nella pratica, infatti, l’accesso all’IVG viene spesso ostacolato.
Ne è un chiaro esempio la Regione Lombardia, prima regione per numero di IVG in Italia, ma pioniera della collaborazione tra amministrazione regionale e movimenti contro l’aborto: per prima, nel 2010, ha istituito un fondo gestito dal Movimento per la Vita (MpV), primo movimento antiabortista nato dopo la legge 194, favorendo la diffusione dei Centri di aiuto alla vita (CAV) anche all’interno di ospedali e consultori. Ad aprire loro le porte è la delibera della giunta regionale promossa dall’allora presidente Formigoni, che già dal 2000 permette ai consultori familiari privati accreditati di non erogare le prestazioni previste per l’IVG, legittimando, di fatto, l’obiezione di struttura vietata dalla legge 194. Un problema grave se si considera che gli attuali consultori pubblici (145) sono ben al di sotto della proporzione 1 ogni 20 mila abitanti previsto per legge (circa un consultorio ogni oltre 60 mila abitanti). Non stupisce quindi che la certificazione per accedere all’IVG rilasciata nei consultori lombardi resti sotto il 50% (in Emilia-Romagna è oltre il 70%). Ancora più difficile, poi, l’accesso all’IVG farmacologica. Secondo il Ministero della Salute, nel 2022 in Lombardia le IVG farmacologiche sono state il 41,8% del totale (in Emilia-Romagna sono il 70,1% e in Piemonte superano il 66,7%). Inoltre, secondo i dati della consigliera del PD lombardo Paola Bocci, nel 2023 11 strutture pubbliche su 50 non le praticano: Lodi è la provincia con la percentuale più alta di IVG farmacologica (78%), Brescia, Cremona, Milano Città, Monza e Brianza, Sondrio, Como sono sotto il 50%, la provincia di Milano è ultima al 29%. Il tasso di obiezione di coscienza tra gli/le specialisti/e in ginecologia è del 53,9%, con punte oltre il 70% in provincia di Bergamo. Inoltre, la Lombardia è maglia nera per i tempi di attesa. Secondo il Ministero, il 32,8% delle persone deve attendere oltre 15 giorni per una IVG dal rilascio del certificato, contro il 24,6% di media del Nord Italia e il 22,2% di media nazionale. Peggio fa solo il Veneto (45,2%). Senza contare il tempo perso a causa della difficoltà a reperire informazioni su come accedere all’IVG in Lombardia. Il risultato di questo intreccio di problemi è che le persone, soprattutto le più vulnerabili, si ritrovano disorientate, con rischi altissimi per la salute, soprattutto mentale.
«Il 21 maggio a Milano, con i dati dei nostri report e con le testimonianze di “The Unheard Voice”, racconteremo quella che è una vera e propria violenza istituzionalizzata che non può più essere tollerata e ci uniremo a diverse associazioni impegnate nella tutela della salute e dell’autodeterminazione con l’obiettivo di sensibilizzare la cittadinanza su un tema che riguarda non solo la salute delle persone, ma anche il rispetto dei diritti fondamentali – dichiara Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia. Si tratta di una tappa per noi speciale: Milano è la città che ospita la sede di Medici del Mondo Italia ed è il capoluogo di una Regione che, spesso un passo avanti in molti campi, in quello dell’accesso all’IVG si rivela maglia nera, ben rappresentando un’Italia nei fatti ancora lontana dalle raccomandazioni dell’OMS e dal diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione e garantito dai Livelli Essenziali di Assistenza. E il tutto a causa di una chiara volontà politica che si traduce, di fatto, in una barriera sanitaria».
ABORTO A OSTACOLI. Quella della Lombardia è una situazione che Medici del Mondo ha esposto nel suo report 2023 “Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali” e poi ben approfondito nel report 2024 “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza” che documenta come, tra iniziative promosse a livello nazionale e politiche anti-scelta in diverse Regioni, l’accesso all’IVG sia sempre più compromesso, erodendo così un diritto che dovrebbe essere garantito, con gravi conseguenze sulla salute mentale delle donne. Tra scarsità di consultori, tassi elevati di obiezione di coscienza, disinformazione e mancata applicazione delle linee guida ministeriali del 2020, l’accesso all’IVG in Italia resta infatti una corsa a ostacoli, soprattutto se si parla di IVG farmacologica: basti pensare che in Europa la pillola abortiva è usata da oltre 30 anni, mentre in Italia è ancora considerata un farmaco rischioso ed è difficile da trovare. Risultato? Per abortire molte donne devono spostarsi tra città e regioni, con costi economici e psicologici pesanti. E, a complicare ulteriormente l’accesso, vere e proprie politiche di deterrenza, dall’obbligo di ascoltare il battito fetale al finanziamento di gruppi antiabortisti con fondi pubblici, rese possibili dagli ampi margini di manovra lasciati dalla legge 194 del 1978. Non sorprende dunque che l’Italia sia stata più volte richiamata a livello internazionale sulla garanzia di accesso all’IVG, con il Parlamento Europeo che ha chiesto di rimuovere le barriere e fermare i finanziamenti ai gruppi anti-scelta. E il report 2024 di Medici del Mondo documenta abusi diffusi: linguaggio denigratorio da parte del personale sanitario, ritardi deliberati nelle procedure, firme imposte per la sepoltura del feto e negazione di antidolorifici. Secondo l’OMS, limitare l’accesso all’aborto aumenta stress e stigmatizzazione, violando i diritti umani. Lo studio Turnaway – l’analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l’Università della California, San Francisco – dimostra che le donne costrette a portare avanti una gravidanza indesiderata hanno maggiori probabilità di sviluppare problematiche legate alla salute mentale (ansia in primis), nonché di vivere in povertà o con un partner violento. Al contrario, il 99% di chi ha avuto accesso all’IVG dichiara di non provare rimpianto, ma sollievo.
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Chi è Medici del Mondo. Medici del Mondo (MdM) è una rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute alle persone più vulnerabili, denunciare le ingiustizie di cui sono vittime e promuovere il cambiamento sociale. Oggi gestisce circa 400 progetti in oltre 70 Paesi del mondo, così come attività di advocacy sia a livello europeo che internazionale. Nel 2020 nasce MdM Italia che, tra le varie aree di intervento, si occupa di salute sessuale e riproduttiva e ribadisce con forza che l’aborto è un diritto umano e un pilastro fondamentale dell’uguaglianza di genere. MdM ritiene che l’aborto libero e sicuro sia un’emergenza di salute pubblica, considerando che ogni anno nel mondo 39.000 donne muoiono a causa di interruzioni di gravidanza realizzate in condizioni non sicure. Per questo MdM si impegna a fare pressione presso le istituzioni perché l’aborto sia un vero diritto in ogni Paese.
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ABORTO IN ITALIA: QUALCHE NUMERO
L’aborto non sicuro è una delle principali cause di mortalità materna a livello internazionale. Dei circa 121 milioni di gravidanze indesiderate che si verificano ogni anno nel mondo, il 60% si conclude con un aborto. Di questi aborti, il 45% avviene in condizioni non sicure, a causa dell’accesso limitato al servizio. I numeri dell’OMS parlano di 39.000 decessi all’anno e di 7 milioni di persone costrette all’ospedalizzazione. Si stima, inoltre, che oltre 20 milioni di donne in Europa non abbiano accesso all’aborto.
In Italia, una delle questioni più rilevanti è l’obiezione di coscienza. Secondo il Ministero della Salute, nel 2022 in Italia si è dichiarato obiettore il 60,7% dei ginecologi e delle ginecologhe (con picchi del 90,9% in Molise, 81,5% in Sicilia e 79,2% in Basilicata), il 37,2% degli anestesisti e il 32,1% del personale non medico. In Italia effettuano IVG il 61,1% delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia (nel 2020 erano il 63,8%), con forti differenze tra le regioni. Sono disponibili 2,9 punti IVG ogni 100.000 donne in età fertile. I valori più bassi si registrano in Campania (1,6 punti IVG per 100.000 donne), Molise (1,8) e nella provincia autonoma di Bolzano (1,8). La fotografia del Ministero, però, non è esaustiva. Secondo la ricerca Mai dati dell’Associazione Luca Coscioni, in 22 ospedali (e 4 consultori) la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%, in 72 è tra l’80 e il 100%. In 18 ospedali c’è il 100% di ginecologi obiettori. In questo scenario, nonostante la chiara direzione antiabortista delle politiche regionali, la Lombardia è la prima regione italiana per numero assoluto sia di IVG (oltre 11 mila nel 2022) sia di aborti farmacologici (circa 4.670), seguita da Emilia-Romagna e Lazio. Altro sintomo di una rete sanitaria non adeguata a garantire l’accesso a cure abortive è il numero di Consultori Familiari (CF), primo punto di accesso e informazione per indirizzare nel percorso per l’IVG. L’Indagine nazionale 2018-2019 dell’Istituto Superiore di Sanità rileva un centro ogni 32.325 abitanti, contro la proporzione prevista dalla Legge 34/1996 di uno ogni 20.000 abitanti, con cinque Regioni con un rapporto superiore a 40.000 residenti per CF. Inoltre, rispetto allo standard di riferimento stabilito nella Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della legge 194 al Senato nell’anno 1995, il valore medio delle ore di lavoro settimanali è inferiore di 6 ore per la ginecologia, di 11 per l’ostetricia, di una per la psicologia e di 25 per l’assistenza sociale. Non solo: secondo l’ultima relazione annuale del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194, nel 2022 i consultori che effettuano counselling per l’IVG e rilasciano certificati rappresentano il 76,6% del totale (l’anno prima erano il 68,4%). Negli anni, comunque, i consultori hanno raddoppiato la frequenza di rilascio della documentazione per l’IVG, passando dal 24,2% del 1983 al 43,9% del 2022. Il 53,5% di coloro che si rivolgono ai consultori per ottenere il certificato sono persone straniere. I consultori sono anche i luoghi individuati dalle linee di indirizzo emanate nel 2020 per accedere all’aborto farmacologico in regime ambulatoriale – seppur al momento solo tre regioni si siano adeguate a queste previsioni (Lazio, Emilia-Romagna e Toscana).
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