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I segreti della bevanda nella storia di un super appassionato che ha fatto della sua predilezione una professione e oggi tiene corsi sulla “migliore tazzina” persino in Giappone.

A 36 anni Maurizio Valli è un uomo felice. Proprietario del Buganvillea Cafè e del Bugan Coffee Lab di Bergamo – primo laboratorio italiano, quest’ultimo, dedicato alla degustazione e a corsi per professionisti e appassionati di caffè: merita una tappa – Valli è ormai celebrato e pluripremiato – è stato nominato il Barista dell’anno 2015 dal mensile Bargiornale – ed è appena tornato da una trasferta in Giappone dove ha “insegnato il caffè” in collaborazione con Carimali, leader nella produzione di macchine per caffè espresso, con stabilimento a Chignolo d’Isola, sempre in provincia di Bergamo.

Diplomatosi perito, destinato al “posto fisso” nell’azienda dello zio che vende materiale elettronico, Maurizio è però innamorato del caffè. «Da piccolo, prima di uscire per andare al lavoro, mamma e papà mi lasciavano i soldi per fare colazione con cappuccino e brioche. Per me quella colazione, con la brioche “pucciata” dentro il cappuccino e il profumo della crema che si scioglieva nel liquido caldo, era il momento migliore della giornata», ricorda. Così a 19 anni, «con grande incoscienza e senza alcuna esperienza se non quella del lavoro serale in un bar», comprò il suo primo bar. «Firmai una montagna di cambiali per 330 milioni delle vecchie lire, senza capire realmente quello che stavo facendo. Ho visto l’inferno, ma oggi sono un barista professionista», dice orgoglioso.

E non un barista qualsiasi. La missione di Maurizio Valli è quella di fare amare il caffè attraverso la cultura, «perché – sottolinea – non è vero che fare il caffè è la cosa più semplice». Non è un caso che nei suoi bar – adesso sono tre, oltre il Buga Coffee Lab – l’espresso è monorigine arabica al 100%. «È una questione di qualità: sono 44 i cromosomi dell’arabica contro i 22 della robusta – spiega – Poi, ovviamente, tutto dipende dalla soggettività del gusto». Ma, prima della soggettività del gusto, serve grande conoscenza. «In primis quella dei baristi – argomenta– che, nella quasi totalità, sono assoggettati alle torrefazioni che forniscono loro miscela, macchina per l’espresso e pure un contributo in danaro, e non sanno che tipo di caffè mettono nella tazzina».

È questo il motivo principale per cui il primo investimento di Valli è stato dotarsi di tutto l’occorrente per la torrefazione. «Dal 2006 in poi ho cominciato una formazione specifica seguendo i corsi dell’accademia 9bar e di Edy Bieker. Sono andato a Panama nelle piantagioni del Café De Eleta di cui sono, attualmente, l’unico cliente italiano; ho visitato altre piantagioni in Etiopia, a Santo Domingo e le più importanti micro roastery europee di cui servo i prodotti», racconta. Oggi affianca l’attività di commercializzazione (anche con e-shop) a quella di divulgazione. «Al Bugan Coffee Lab abbiamo corsi per baristi ma anche per “coffee lovers” e ospitiamo visitatori da tutto il mondo: Giappone, Russia, Stati Uniti – spiega – I corsi per i professionisti durano 10 ore, 5 di teoria e 5 di pratica; quelli per i “lovers” 5 ore con una parte dedicata all’illustrazione della filiera prima di passare alla calibrazione del gusto, al cupping alla brasiliana e, infine, alla degustazione di 2/3 tipi di espresso».

E se, attraverso la collaborazione con Milena Gabanelli, Valli ha fatto da consulente per le puntate in cui si denunciava la produzione insostenibile del Kopi Luwak (il caffè defecato dallo zibetto indonesiano) e veniva messo in discussione il primato napoletano del miglior caffè italiano, oggi la sua battaglia riguarda l’alta ristorazione. Perché in un ristorante stellato c’è così poca attenzione per il caffè?  «C’entrano le somme che le grandi aziende concedono per le azioni di marketing – conclude – Ma qualcosa sta cambiando e c’è già chi sceglie anche il caffè da servire come gli ingredienti, e spiega al cliente quello che c’è nella tazzina così come farebbe con il miglior piatto».