Grazie agli studi eseguiti da Giovanni Silini, storico loverese, alcuni decenni orsono è stato possibile risalire a quelle che erano le condizioni di lavoro della manodopera nel lanificio loverese nei secoli XV e XVI. Lovere, infatti, visse in quegli anni un periodo di invidiabile floridezza, grazie alla fiorente produzione del Panno Loverese, un tessuto in lana all’epoca richiestissimo, che rese questo piccolo paese noto in tutta Europa.
Giovanni Silini è stato in grado di descrivere – attraverso lo studio di circa duecento contratti di assunzione di lavoranti-apprendisti nel lanificio a Lovere tra la seconda metà del XV e l’inizio del XVI secolo – le caratteristiche di età, di provenienza, il regime di dipendenza, le condizioni generali di lavoro e il salario o compensi sostitutivi (panno e vestiti) dati ai lavoranti. I dati di questo studio, dunque, riguardano il rapporto di lavoro tra padroni e lavoranti, che erano spesso apprendisti che risiedevano in qualità di famigli presso i lanaioli che operavano a Lovere. La natura di questo rapporto di lavoro implicava quindi rapporti personali, oltreché professionali, tra il datore di lavoro e il prestatore d’opera.
“Le informazioni disponibili sull’economia loverese – spiega Silini – anche se numerose, sono scarsamente rappresentative dell’economia nel complesso”. Dei 204 contratti di lavoro presi in analisi, se ne ricava che circa tre quarti di essi erano per persone da impiegare nel lanificio: si tratta in larga parte di tessitori, poi di preparatori di panni ed infine di tintori e di fabbricanti di licci e pettini da lana. Il rimanente dei contratti riguarda muratori, famigli generici con funzione di servitori, sarti, caligari. In 191 contratti esaminati l’età precisa del lavorante viene menzionata. Si va da punte minime di 10 anni, soprattutto nel caso di lavoranti del lanificio, fino ad età superiore a 25. Risulta che i lavoranti del lanificio avessero un’età media di 17 anni, i restanti lavoranti invece si avvicinavano ai 19 anni. Nel caso di minori, un maggiorenne stipulava il contratto rendendosi garante per il lavorante in ordine all’osservazione dello stesso: si trattava spesso del padre, di un fratello o di un compaesano. Quando il lavorante aveva più di 18 anni, talvolta egli stipulava direttamente, talvolta ancora attraverso garante. In età superiore a 25 anni, invece, in tutti i contratti l’interessato stipulava direttamente il contratto.
Provenienza del lavorante. Le scritture nominano quasi sempre la provenienza del lavorante. La grande maggioranza dei lavoranti del lanificio proviene da paesi della Valle Camonica o valli adiacenti, poi vi sono numerosi casi provenienti da Lovere e dal suo circondario (Castro, Costa Volpino, Pianico) o altri paesi del Lago d’Iseo. Tuttavia, il grosso serbatoio di manodopera per Lovere durante questo periodo è principalmente la Valle Camonica, la quale fornisce da sola circa la metà di tutti gli operai reclutati. In un solo caso viene reclutata una donna, ma non significa che le donne non partecipassero al lavoro del lanificio: nei contratti non viene mai menzionata la filatura, che vi è ragione per ritenere fosse attività lasciata soltanto alle donne.
Durata dei contratti. In tutti i contratti presi in analisi, la loro durata varia tra un minimo di 1 anno ad un massimo di 8 anni, con una media intorno ai 4. La variabilità è legata all’età del lavorante: individui più anziani tendono ad avere contratti più brevi ed i minorenni contratti più lunghi.
Quasi tutti i contratti esaminati da Giovanni Silini precisano che il regime di lavoro per il quale si stipula l’atto è quello del famulatus e specificano che il lavorante deve vivere per il tempo stabilito come famiglio in casa del padrone. Costui si impegna a fargli le spese di cibo, bevande e vestiti, trattandolo come parte della sua famiglia. Il contratto, però, non prevedeva mai le condizioni dell’alloggio: bisogna pensare che il lavorante venisse trattato un poco sotto al livello dei figli del padrone. In quell’epoca, una pietanza tipica a Lovere era la mistura in parti uguali di frumento, segale e miglio. La dieta non poteva considerarsi né abbondante né varia.
Il primo dovere di un famiglio era quello di lavorar diligentemente, ogni giorno, eccetto quelli festivi. I tempi di lavoro erano notoriamente molto lunghi, probabilmente dell’ordine delle 12 ore o più per giornata, in condizioni precarie. Costretto a vivere nella famiglia del padrone, inoltre, il famiglio aveva precisi doveri di comportamento: egli si impegnava ad essere fedele ed obbediente nelle cose lecite ed oneste, a non fare debiti e a non rubare i beni del padrone.
Il salario. Circa il 40% dei contratti analizzati da Silini, oltre alle spese di cibo, di vino ed al gestito, prevedono un salario in denaro. Esso può essere quotato in lire, in ducati, in raines o in marcelli veneti. Dai contratti si osserva che soltanto un quarto dei famigli minorenni impiegati nel lanificio aveva diritto ad un salario in denaro. Per i minorenni che percepivano un salario si trattava di una cifra poco più che simbolica, in media circa 10 volte inferiore a quella data ai famigli maggiorenni. I contratti per tintori, fabbricanti di licci e pettini, i caligari ed i sarti non prevedevano mai un salario in denaro.
Il lavoro di Giovanni Silini, scomparso nel 2011, ci permette di conoscere una realtà lontana dalla nostra ma ambientata negli stessi luoghi in cui viviamo oggi. Lo studio delle condizioni di lavoro della manodopera di Lovere è stato pubblicato nella sua interezza nel 1987 sulla “Rivista del Centro Studi e Ricerche Archivio Bergamasco”, Pierluigi Subrina editore. È disponibile anche una versione consultabile online.
Francesco Moretti