Nel lessico da pandemia che abbiamo iniziato a masticare nell’ultimo anno, smart working è di certo una delle parole che conosciamo meglio. Chiamato anche lavoro agile o lavoro da casa, la forma non cambia la sostanza.
La prima volta che ce ne hanno parlato abbiamo storto il naso: lavorare dal salotto, connettersi in riunione con i pantaloni del pigiama nascosti sotto una camicia bianca, ma davvero? Poi l’abbiamo apprezzato, quando ci siamo accorti dell’elasticità che dava alle nostre professioni, il sollievo al portafoglio. A tratti l’abbiamo anche odiato, avvertendo la mancanza del caffè con i colleghi e non sopportando più quelle quattro pareti domestiche.
I dati presentati da Confindustria Brescia non lasciano spazio a dubbi: lo smart working ha subito un’impennata nell’ultimo anno, figlio della pandemia e del distanziamento sociale. La diffusione dello smart working nelle aziende bresciane è passata dal 10% del 2019 al 75% del 2020. La distribuzione non è omogenea: le realtà che si occupano di servizi mostrano un tasso di utilizzo pari al 24%, contro il 7% dell’industria.
Lo smart working non è solo “lavorare da casa”, ma una nuova modalità di concepire il lavoro, forse frutto di una filosofia che era già nell’aria prima della pandemia e che ha condotto all’evoluzione, al cambio di rotta avvenuto in modo drastico nel marzo del 2020.
Infatti, già prima del Covid, delle aziende ricorrevano allo smart working con l’obiettivo di aumentare l’equilibrio tra vita privata e lavorativa, migliorare le performance aziendali e ridurre l’impatto ambientale. Era prevista, però, una modalità diversa, con solo un paio di giorni di lavoro agile.
La pandemia ha portato a ripensare alle varie professioni introducendo tabelle e distinzioni, attività essenziali e altre superflue. Obbligati a lavorare da casa, lavoratori e lavoratrici hanno dovuto riorganizzare l’ambiente domestico, trovare nuovi spazi e ritmi per incastrare il lavoro nel puzzle della quotidianità in esilio.
Secondo l’indagine di Confindustria, nel post-pandemia l’utilizzo dello smart working nel bresciano dovrebbe essere intorno al 38%. C’è chi lo vede come una benedizione e chi lo maledice, il lavoro agile non è esente da pro e contro che dividono e fanno discutere. Da un lato troviamo i risparmi sui trasporti, sul vitto e perfino sul vestiario, dall’altro il mal di schiena dovuto alle postazioni domestiche improvvisate, la nostalgia delle relazioni tra colleghi, l’aria asfissiante di una casa che non è più solo un rifugio ma anche una sala riunioni, un ufficio e un’aula scolastica.
Maria Ducoli