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Le difficoltà dei comparti tessile e chimico di Bergamo

Le difficoltà dei comparti tessile e chimico di Bergamo

“Lo verifichiamo con nettezza, sul campo, e se pure per il mese di luglio non abbiamo dati precisi, già possiamo confermare che il numero di richieste di esame congiunto per l’avvio dell’ammortizzazione sociale nelle ultime quattro settimane è stato in ulteriore, forte crescita soprattutto per il comparto tessile”: a dirlo oggi è Ezio Acquaroli, segretario generale della FILCTEM-CGIL di Bergamo.

Anche nella sede della CGIL trova distintamente conferma la fotografia scattata dai dati diffusi dalla Camera di Commercio sulla congiuntura economica bergamasca, che riferiscono di una frenata dell’industria orobica. Stesse tendenze sono state confermate oggi a livello nazionale anche dal Bollettino del Banca d’Italia.

“Già il trend si osservava nel numero di ore di ammortizzazione autorizzate a giugno in provincia: 588.000 ore per i comparti chimico, petrolchimico e della gomma plastica, poi altre circa 130.000 per i settori tessile e dell’abbigliamento” prosegue Acquaroli. “Possiamo però già anticipare, per luglio, un picco per quest’ultimo comparto. Continuiamo a ricevere richieste di firmare accordi per l’avvio di cassa ordinaria e contratti di solidarietà. Le difficoltà degli ultimi otto mesi si sono acuite in modo marcato a luglio, appunto”.

“A fine 2022 e all’inizio di quest’anno si è ricorso, in molte realtà produttive, alle ferie arretrate. Poi, utilizzare periodi di cassa si è rivelato sempre più inevitabile anche in aziende medio-grandi, perché non è più una questione di piccole realtà che faticano a tenere il passo e a resistere alla concorrenza”.

Per Acquaroli, si tratta dell’effetto preoccupante di un concatenarsi di eventi, sia prevedibili che non: “Il periodo post-Covid aveva visto un rimbalzo generalizzato grazie a una vigorosa ripresa degli ordinativi. Poi, nella fase di aumento dei costi di produzione e delle materie prime, seguito all’inizio della guerra in Ucraina, molte aziende avevano cercato di aumentare le scorte, temendo un imminente acuirsi della situazione. A magazzini pieni, però, l’inflazione ha colpito la domanda, con aziende-clienti e consumatori meno propensi a spendere”.

“È ormai evidente che, se non per interventi interlocutori di ‘corto raggio’ da parte di chi dovrebbe indirizzare strategie di cambiamento e di sviluppo, non si vedono azioni e decisioni che orientino la prospettiva industriale del nostro Paese su un futuro diverso. Le circostanze che si stanno determinando, anche nel nostro territorio, dipendono purtroppo anche da scelte di questa natura” conclude il sindacalista.

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