Laura Mappelli, 48 anni, di Premolo, è stata rinviata a giudizio martedì 13 settembre dal GUP Ciro Iacomino, al termine di un’udienza preliminare per tentato omicidio nei confronti del marito.
Il giudice ha comunque deciso che la questione merita un approfondimento processuale ed ha deciso che il processo inizierà il 14 febbraio del prossimo anno. La donna era stata arrestata il 12 dicembre dello scorso anno dagli agenti della squadra mobile della Questura, ed era anche stata posta agli arresti domiciliari, con l’accusa di aver avvelenato con un’iniezione di insulina il marito, Bortolo Rossi, detto Lino, autista di bus di 42 anni, originario di Villa d’Ogna, che era finito all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo in ipoglicemia. Quando era arrivato al Pronto soccorso l’uomo era incosciente e i medici avevano subito rilevato sintomi gravi, disponendo una serie di esami urgenti. Nel giro di poche ore, mentre il paziente era intubato e assistito, le analisi del sangue avevano dato il responso di un’alta concentrazione di triazolam e di insulina, nonostante il paziente non fosse mai stato in cura per diabete e non avesse mai assunto quella sostanza in vita sua. La donna, secondo l’accusa, avrebbe sciolto nel caffè preparato al marito una dose di sonnifero che usava per se stessa, utile per intontirlo, per poi iniettargli l’insulina. Laura Mappelli lavorava come ausiliaria socio assistenziale alla casa di riposo di Albino: ha sempre negato le responsabilità e ha spiegato che non era in possesso di insulina perché non aveva accesso alla farmacia della casa di riposo dove lavorava e che era stata lei a praticare il massaggio cardiaco al marito, nella convinzione che il malore che lo aveva colpito fosse dovuto a un infarto e poi era stata lei a chiamare i soccorsi. La consulenza medica della Procura ha stabilito la presenza di tracce di triazolam e insulina nel sangue del marito, ed è anche sulla base di questo esame che è stata costruita dall’accusa la sequenza di comportamenti della donna. Il consulente medico della difesa, invece, contesta il metodo utilizzato dall’esperto tossicologo nominato dal pm, giudicandolo non scientificamente valido. Valido il metodo, invece, per il consulente medico del marito, che s’è costituito parte civile. La vicenda aveva colto di sorpresa parenti e amici vicini alla coppia, che avevano raccontato di una famiglia felice, di una relazione molto positiva. I due convivevano dal 2003 e s’erano sposati il 31 luglio del 2015. Tramite pedinamenti e analisi dei tabulati telefonici, i poliziotti avevano però scoperto che, come aveva spiegato il capo della Mobile, la donna aveva una relazione extraconiugale con un 50enne amico del marito e che probabilmente, per cercare di liberarsi del marito, avrebbe pensato a questo estremo gesto. La donna aveva già avuto a che fare con la Giustizia dato che era già stata condannata per un episodio che risaliva al 2002 quando aveva incendiato un cascinale di un precedente amante.