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La Polizia di Stato arresta un uomo responsabile di “revenge porn”

La Polizia di Stato ha tratto in arresto un uomo resosi responsabile di estorsione e del reato previsto e punito dall’articolo 612 ter del codice penale, ovvero “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, noto anche come “revenge porn”.

Nello specifico, poche settimane fa, una giovane donna si rivolgeva alla Squadra Mobile della Questura: la vittima, sposata ed abitante in un centro dell’hinterland bergamasco, narrava di aver conosciuto un coetaneo sul luogo di lavoro. Tra i due era nata una simpatia, sfociata poi in una relazione sentimantale.

Tuttavia, allorquando la donna aveva iniziato a tergiversare sulla volontà di prolungare la relazione extraconiugale, l’uomo le aveva inviato, tramite messaggi WhatsApp, dei video dal contenuto esplicitamente sessuale, nei quali la coppia era intenta a consumare rapporti intimi. I video erano stati registrati dall’uomo con l’inganno, all’insaputa della donna, che tuttavia, negli stessi, era chiaramente riconoscibile.

Il malfattore minacciava la malcapitata, asserendole che, se non avesse consegnato 500 euro immediatamente ed altri 2.500 entro il mese di maggio, avrebbe diffuso su internet i video in questione e li avrebbe, ovviamente, inviati anche al marito della donna. Pertanto la persona offesa decideva di rivolgersi alla Squadra Mobile.

La Sezione “Reati contro la persona, in danno dei minori e reati sessuali” del predetto ufficio investigativo, che si occupa prevalentemente del cosiddetto “codice rosso”, che comprende appunto anche il “revenge porn”, dava vita ad un’immediata attività d’indagine. Dopo aver individuato l’uomo, a seguito di perquisizione, si riusciva infatti a rinvenire il dispositivo sul quale erano salvati i filmati e grazie al quale era stata effettuata la videoripresa, si appurava altresì dove lo stesso era stato collocato fraudolentemente per effettuare le riprese, e lo si sequestrava.

Le risultanze investigative venivano quindi pienamente sposate dalla competente Autorità giudiziaria, che emetteva idonea misura cautelare, in esito alla quale l’uomo veniva tratto in arresto.

La Polizia di Stato ha tratto in arresto un uomo resosi responsabile di estorsione e del reato previsto e punito dall’articolo 612 ter del codice penale, ovvero “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, noto anche come “revenge porn”.

Nello specifico, poche settimane fa, una giovane donna si rivolgeva alla Squadra Mobile della Questura: la vittima, sposata ed abitante in un centro dell’hinterland bergamasco, narrava di aver conosciuto un coetaneo sul luogo di lavoro. Tra i due era nata una simpatia, sfociata poi in una relazione sentimantale.

Tuttavia, allorquando la donna aveva iniziato a tergiversare sulla volontà di prolungare la relazione extraconiugale, l’uomo le aveva inviato, tramite messaggi WhatsApp, dei video dal contenuto esplicitamente sessuale, nei quali la coppia era intenta a consumare rapporti intimi. I video erano stati registrati dall’uomo con l’inganno, all’insaputa della donna, che tuttavia, negli stessi, era chiaramente riconoscibile.

Il malfattore minacciava la malcapitata, asserendole che, se non avesse consegnato 500 euro immediatamente ed altri 2.500 entro il mese di maggio, avrebbe diffuso su internet i video in questione e li avrebbe, ovviamente, inviati anche al marito della donna. Pertanto la persona offesa decideva di rivolgersi alla Squadra Mobile.

La Sezione “Reati contro la persona, in danno dei minori e reati sessuali” del predetto ufficio investigativo, che si occupa prevalentemente del cosiddetto “codice rosso”, che comprende appunto anche il “revenge porn”, dava vita ad un’immediata attività d’indagine. Dopo aver individuato l’uomo, a seguito di perquisizione, si riusciva infatti a rinvenire il dispositivo sul quale erano salvati i filmati e grazie al quale era stata effettuata la videoripresa, si appurava altresì dove lo stesso era stato collocato fraudolentemente per effettuare le riprese, e lo si sequestrava.

Le risultanze investigative venivano quindi pienamente sposate dalla competente Autorità giudiziaria, che emetteva idonea misura cautelare, in esito alla quale l’uomo veniva tratto in arresto.

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