«La ricorrenza del 17 maggio è stata scelta, in ambito internazionale, per promuovere il contrasto alle discriminazioni, la lotta ai pregiudizi e la promozione della conoscenza riguardo a tutti quei fenomeni che, per mezzo dell’omofobia, della transfobia e della bifobia, perpetrano continue violazioni della dignità umana». Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricordava un anno fa in una nota la Giornata mondiale contro l’omofobia.
Un anno dopo, la giornata internazionale cade in concomitanza con la ripresa in Senato della discussione del DDL Zan. La data del 17 maggio ci riporta indietro nel tempo, nel 1981 quando gli italiani furono chiamati ad esprimersi nel referendum per mantenere la legge 194 sull’aborto. Una vittoria civile per molti, una sconfitta lancinante per chi antepone la vita ad ogni altro argomento.
Purtroppo, l’omofobia non è un ricordo degli anni passati, ed è spesso l’ambiente scolastico il terreno più fertile per le prese in giro legate all’orientamento sessuale. I bulli raramente aggrediscono qualcuno per «ciò che l’altro fa», quanto per «ciò che l’altro è». Eppure, l’omosessualità non è una novità del nostro tempo, non viene dai social o dalla generazione Z, c’è da sempre e la letteratura non l’ha taciuta. Pensiamo a Marguerite Youcenair che nel suo romanzo Alexis scrive di un musicista che rivela la propria bisessualità alla moglie. Se ci spostiamo in Inghilterra troviamo Virginia Woolf con il suo androgino Orlando. O ancora al tedesco Klaus Mann che ne La pia danza racconta di un personaggio in cerca della libertà necessaria per esprimere il proprio essere omosessuale.
Abbiamo reso il modo di essere un tabù, convincendoci che si tratti di un errore. Lo sbaglio è – invece – non fare nulla per superare la paura della diversità. Se tutto quello che esce dai binari stride, è bene scendere dal treno e cambiare prospettiva.