Giornata della Memoria, per non dimenticare… Riflessioni di un ragazzo di appena 18 anni.
L’importanza della memoria è fondamentale in qualsiasi momento della vita. Gran parte della nostra quotidianità è scandita da abitudini che si rifanno a ricordi passati o esperienze che sembrano essersi cristallizzate nel tempo. La vita stessa come siamo abituati a viverla è frutto dell’accumulazione confusa di esperienze e ricordi diversi che hanno portato il mondo al progresso e che si codificano come il carburante invisibile di una grandiosa macchina chiamata vita. In definitiva, la memoria è la linfa vitale che ha segnato ogni passo dell’essere umano sulla terra dalla sua origine fino ai giorni nostri. Se si pensa ai libri di storia, ai racconti della nonna in un pomeriggio di festa, ai monumenti e all’arte che ci circonda, essi si differenziano senza dubbio dal punto di vista dell’autenticità della fonte e dei dati citati, ma si fanno tutti e in egual misura portatori di uno stile di vita carico di emozioni, risate e sofferenze, ricordi vivi di un’esperienza terrena uguale alla nostra, ma diversa nei paradigmi.
Oggi giorno il mondo è profondamente cambiato rispetto a quello di ottanta o novant’anni fa, pensiamo semplicemente alle nostre città dove probabilmente, in quel periodo, i nostri nonni camminavano giovani e spensierati per le strade probabilmente vestiti in un modo un po’ bizzarro, ma sempre e comunque carichi della stessa forza che oggi noi condividiamo e che esprimiamo negli stessi luoghi, ma in tempi nuovi. Ricordiamoci allora che nulla di ciò che ci circonda è posto lì per caso, tutto è stato studiato per essere un gigantesco proiettore di immagini che come su una linea del tempo, a tratti un po’ sbiadita, afferma nel suo silenzio e in qualche ammaccatura l’instancabile passaggio del tempo. Fermiamo questo nastro e cerchiamo di riavvolgerlo per capire com’era il mondo prima di noi, forse la delusione cui andremo incontro sarà quella di scoprire che esso non era tanto diverso da come siamo abituati a vederlo noi. Gli stessi palazzi storici e gli stessi parchi con le panchine scalfite dalle incisioni, i bambini che giocano sulle altalene e le mamme che preoccupate li osservano, ma un particolare si paleserà davanti ai nostri occhi e non lo potremo eliminare, l’immagine di un guardiano che silenzioso e quasi agonizzante spazza le foglie rosse in un angolo del giardino. Presi da una voglia incontrollabile di capire, mandiamo avanti il nastro freneticamente rischiando quasi di distruggerlo e progressivamente vediamo scomparire prima un bambino, poi una mamma, poi un altro bambino con un paio di occhiali rossi che emergevano in mezzo alla folla, poi un’altra mamma che si diceva non fosse conforme alla religione imposta, poi una ragazzina che come unica responsabilità aveva quella di essere troppo esuberante e restia ai comandi. Chi sembrava non essere toccato da quelle misteriose scomparse affermava che il parco doveva essere controllato per essere pulito e protetto e anzi molte volte erano loro stessi ad indicare i fantomatici colpevoli della sporcizia che li circondava. Nel giro di poco tempo quella fantastica macchia verde in mezzo alla città arricchita dalle risate dei bambini, era solo un ricordo nella mente di pochi e non importa se le regole fossero state imposte per renderlo più bello, alla fine venne chiuso perché l’unico che vi rimase era il triste spazzino e un ammasso confuso di foglie.
Per quanto i drammi dell’olocausto siano distanti da noi per ovvie ragioni temporali, il ricordo dovrà sempre essere il filo rosso che ci riconduce a quelle esperienze che, seppur tragiche, necessitano di essere ricordate per non essere ripetute. Col senno di poi sembra impossibile ragionare in questi termini, ma in un mondo che si professa liberale e nel 2017 pensa ancora di risolvere i problemi ergendo muri, cancellando mezzo secolo di diplomazia e rievocando lo spettro di politiche autarchiche/protezionistiche è forse indispensabile tornare indietro, esattamente come fatto poco fa e capire che non è la globalizzazione fuori di noi a fare la differenza, ma la perspicacia dentro di noi ad evitare che la razza di una persona possa diventare un valido metro di giudizio.