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Con la concessione dello status di Mes possibili conseguenze per aziende e lavoratori. A rischio anche l’export lombardo in UE. 

La Commissione europea dovrà decidere nelle prossime settimane sulla possibilità di concedere lo status di economia di mercato (Mes) alla Cina. Il Parlamento europeo, nello scorso mese di maggio, ha già dato parere negativo. Si tratta di una questione particolarmente delicata, soprattutto per l’economia lombarda, in cui esistono diversi settori, come la siderurgia, la chimica, la meccanica, la bulloneria e i prodotti in carta, che nel corso degli ultimi anni hanno visto crescere le importazioni dall’Asia a ritmi molto sostenuti, con punte del 70% fra il 2009 e il 2015.

Secondo le elaborazioni della Camera di Commercio di Milano, la Lombardia copre il 42% di tutto l’import italiano dalla Cina. Nel 2015 il valore delle merci in entrata nella nostra regione ha raggiunto i 12 miliardi di euro, una crescita del 12,9% rispetto all’anno precedente. Solo Milano rappresenta quasi la metà dell’import regionale (48,9%) e ben un quinto dell’intero valore di export e import nazionali nei confronti del Paese orientale.

L’interscambio lombardo con la Cina ha un valore totale di 15,2 miliardi di euro, circa l’80% dunque è rappresentato dalle importazioni. Un dato che dà la misura di cosa potrebbe significare per la Lombardia la concessione dello status di Mes. Diversi prodotti cinesi sono infatti al momento gravati dai dazi antidumping che comportano costi aggiuntivi per le merci in ingresso nell’Unione europea. In alcuni casi questi dazi sono particolarmente consistenti: per le piastrelle e le lastre di ceramica, ad esempio, arrivano al 69,7%, mentre per alcuni tipi di motori toccano il 40,7%. Se la Cina diventasse un’economia di mercato, questi dazi verrebbero meno: il prezzo delle merci in entrata calerebbe e per i territori maggiormente esposti, come la Lombardia, le conseguenze sarebbero significative. Interi distretti produttivi potrebbero venire fortemente penalizzati.

E i rischi non sarebbero soltanto sul fronte delle importazioni. La Lombardia ha una rilevante propensione all’export verso i Paesi europei. Gli ultimi dati di Unioncamere relativi al primo trimestre di quest’anno, fanno emergere come il valore delle nostre esportazioni raggiunga quasi i 27 miliardi di euro (26,8, per l’esattezza). Gli incrementi maggiori sono stati fatti registrare dai flussi verso la Spagna (+8,1%), la Francia (+2,5%), la Germania (+1,5%) e la Polonia (+8,8%). Per quanto riguarda invece le categorie merceologiche, le variazioni maggiori sono state fatte registrare da macchinari e apparecchi meccanici (+2,9%), prodotti tessili, pelli e accessori (+3,2%), sostanze e prodotti chimici (+2,6%), gomma e materie plastiche (+4,4%) e articoli farmaceutici (+11,6%). L’eliminazione dei dazi antidumping danneggerebbe le esportazioni lombarde a causa dell’afflusso massiccio sui mercati Ue di beni in arrivo dalla Cina.

Per avere un’idea, si consideri che nel settore della chimica, come risulta da alcune elaborazioni effettuate da Éupolis Lombardia, operano attualmente in Lombardia 699 aziende con 31.414 addetti, nella carta 1.005 aziende con 18.226 addetti, nella siderurgia 156 con 23.777, nella ceramica 132 con 2.754, nella meccanica 623 con 11.043 e nella bulloneria 162 con 4.850. Soltanto per i settori citati sono coinvolte in totale 2.777 aziende e quasi 100mila addetti che, in caso di concessione dello status di Mes, dovrebbero fare i conti con uno scenario di mercato completamente diverso dall’attuale.

A dicembre scadranno i 15 anni del periodo di prova deciso dal Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) per valutare l’economia della Cina. Cinque sono considerati i requisiti fondamentali per ottenere il riconoscimento a cui Pechino ambisce: l’assenza di interferenze statali nelle decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi; la presenza di un meccanismo di revisione contabile indipendente e costituito seguendo i criteri di contabilità internazionale, a cui sottoporre le imprese; l’assenza di distorsioni di rilievo nei costi di produzione e nella situazione finanziaria delle imprese, compresi le svalutazioni degli attivi e i pagamenti con compensazione dei debiti; la certezza del diritto, garantita dallo Stato, in materia fallimentare e di proprietà delle imprese e la liberalizzazione dei tassi di cambio.

Il Parlamento, ritenendo che la Cina non abbia raggiunto questi obiettivi, con larga maggioranza (546 sì, 28 no e 77 astenuti) ha già formalizzato il suo parere negativo che, seppur non vincolante per la Commissione, dovrebbe comunque un peso nella valutazione finale.