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rumori molesti

Estate calda e rumori molesti: le tutele

Arriva l’estate. C’è voglia di divertirsi e di fresco. Le finestre stanno aperte. Dalla strada arrivano rumori molesti, che compromettono il riposo e la tranquillità delle persone.

Vale la pena di riepilogare, seppur brevemente quello che è il quadro di riferimento delle principali questioni e degli aspetti, dal punto di vista giuridico, che riguardano l’argomento. La traccia riassuntiva, in modo semplice e sintetico, adatta per i nostri lettori, può essere la seguente:

1.– Rumori molesti: la normativa
2.– Schiamazzi notturni e rumori molesti: la tutela penale
3.– Schiamazzi notturni e rumori molesti: la tutela amministrativa
4.– Distinzione tra immissioni ed emissioni
5.– Schiamazzi notturni e rumori molesti: la tutela civile
6.– Il risarcimento del danno non patrimoniale
7.– La responsabilità del gestore del locale per gli schiamazzi dei clienti
8.– Approfondimenti in materia di immissioni di rumore.

1.– Rumori molesti: la normativa.

La normativa che regola e disciplina l’argomento è davvero ricca ed ampia.

Le tutele giuridiche, a favore di chi si sente danneggiato da rumori e schiamazzi, sono di vario genere: penale, amministrativo e civile.

La tutela penale e quella amministrativa hanno un campo di applicazione articolato ed investono più aspetti, anche perché entrano tra loro in conflitto i diritti delle varie parti in contesa.

La tutela civile, invece, si adatta meglio a tutelare le persone che si sentono danneggiate, e paiono di più immediata applicazione per tutti i vari casi che si presentano, con varie sfaccettature.

I problemi più seri, specie d’estate, li corrono i gestori di locali, perché le persone amano attardarsi e godersi il fresco della notte. Allo stesso modo però vi sono anche persone che desiderano dormire, però con le finestre aperte. I gestori dei locali si possono quindi trovare nella condizione di dover rispondere (e pagare) per il fatto dei propri clienti chiassosi.

2.– Schiamazzi notturni e rumori molesti: la tutela penale.

La norma di riferimento nel codice penale per contrastare i rumori molesti è quella di cui all’articolo 659 cod. pen., che è composto da due parti.

Il primo comma, sanziona chiunque, “… mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici”.

Il secondo comma, invece, sanziona “… chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità.

Nel primo caso è necessario dimostrare, per chi invoca la tutela, il disturbo che si subisce.

Nel secondo caso, invece, l’esercizio di attività rumorosa lascia presumere la molestia per il solo fatto che l’esercizio del mestiere rumoroso “si verifichi fuori dai limiti di tempo, di spazio e di modo imposti dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità” (vedasi tra le altre sentenza Cassazione n. 39852 del 2012).

3.– Schiamazzi notturni e rumori molesti: la tutela amministrativa.

Se i rumori molesti sono intimamente collegati e correlati all’esercizio di un’attività, allora, oltre alla tutela penale, può soccorrere anche la tutela amministrativa e, difatti, vi sono norme particolari e speciali tese a regolamentare alcune particolari situazioni, e così allo scopo di reprimere eventuali illegittimità vi sono sanzioni di carattere amministrativo.

Il caso tipico è, quindi, quello che genera “… disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone …” allorquando si verifichi “… il superamento dei limiti massimi o differenziali di emissione del rumore fissati dalle leggi o dai provvedimenti amministrativi …” [si veda ad esempio la sentenza della Corte di cassazione n. 34920 del 2015, per il caso del bar che sta sotto casa che è troppo rumoroso: il gestore del bar, salvo dimostrare una diversa ipotesi sanzionabile, può essere sanzionato solo dal punto di vista amministrativa].

Dal punto di vista giuridico soccorre ed aiuta chi subisce i rumori molesti la seguente normativa:

– il D.P.C.M. del 1° marzo 1991, che disciplina i “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno”);

– la legge n. 447/1995 (“Legge quadro sull’inquinamento acustico”);

– il D.P.C.M. del 14 novembre 1997 (“Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”);

– il D.M. del 16 marzo 1998 (“Tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico”);

– il D.LGS. n. 194/2005 (“Attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale”).

4.– Distinzione tra immissioni ed emissioni.

A fissare i valori limite delle sorgenti sonore negli ambienti di vita è, in particolare, il D.P.C.M. 14 novembre 1997, il quale determina “valori limite diversi a seconda che ad essere valutate siano le EMISSIONI o le IMMISSIONI”.

Risulta, quindi, di fondamentale importanza, ai fini di una corretta applicazione delle tutele penali e amministrative, che fanno riferimento a tali valori, aver ben chiara la distinzione che vi è tra emissione e immissione ed essere, pertanto, consapevoli quale di esse sia oggetto di misurazione.

In particolare: nel primo caso (emissione) si intende “il rumore che è emesso da una sorgente sonora”; mentre nel secondo caso (immissione) si intende “il rumore che una sorgente sonora immette in un determinato ambiente esterno”.

5.– Schiamazzi notturni e rumori molesti: la tutela civile.

In tema di diritto civile, il criterio con il quale vanno misurate e/o valutate le immissioni rumorose è diverso e certamente più rigoroso, nel senso che le stesse “immissioni” “possono considerarsi illecite anche a prescindere dal superamento dei limiti di accettabilità previsti dalle normative in materia di inquinamento acustico e ambientale”. Da qui scaturisce una maggior tutela per le persone che subiscono quei rumori molesti.

La giurisprudenza, infatti, è pacifica sul punto, in quanto si è affermato che “… mentre il superamento di tali limiti rende comunque inaccettabili le immissioni sonore, il rispetto degli stessi non è tuttavia sufficiente a renderle in assoluto tollerabili …” (sul tema vi sono varie sentenze della Suprema Corte di Cassazione, che sono assolutamente tutte allineate a far data da qualche decennio: cfr., tra le altre, Cass. n. 939 del 2011; Cass. n. 5564 del 2010; Cass. n. 1418 del 2006 e Cass. n. 1151 del 03).

Interessante ed esaustivo per meglio focalizzare la situazione dei rumori molesti, della loro immissione ed emissione e, quindi della loro tollerabilità, o meno, è il disposto del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’1° marzo 1991, il quale, così recita: “… nel determinare le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti di tollerabilità in materia di immissioni rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell’attività rumorosa, fissa, quale misura da non superare per le zone non industriali, una differenza rispetto al rumore ambientale pari a 3 decibel in periodo notturno e in 5 decibel in periodo diurno, persegue finalità di carattere pubblico e opera nei rapporti fra i privati e la Pubblica Amministrazione. Le disposizioni in esso contenute, perciò, non escludono l’applicabilità dell’art. 844 cod. civ. nei rapporti tra i privati proprietari di fondi vicini” (che è stato utilmente richiamato nel contesto della sentenza n. 17051 della Corte di Cassazione civile del 05 agosto 2011).

In particolare, l’art. 844 codice civile stabilisce che “… il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e le altre propagazioni che provengono dal fondo del vicino, a meno che questi non superino la normale tollerabilità, da valutare tenendo conto anche della specifica condizione dei luoghi …”.

E così, prendendo le mosse dall’art. 844 cod. civ., “… il proprietario di un immobile, o chi ne goda a qualsiasi titolo, può, quindi, proporre nei confronti del proprietario o locatario di un altro immobile un’azione dinanzi all’Autorità giudiziaria civile per ottenere sia l’inibitoria dell’attività rumorosa, sia il risarcimento dei danni che possono derivare dalle immissioni rumorose, come ad esempio quello relativo alla perdita di valore dell’immobile o quello alla salute”.

Il criterio fondamentale, dunque, al quale si deve far riferimento, al fine di ottenere tutela, per il caso in cui “i rumori superino la normale tollerabilità”, non è poi così preciso, seppur il concetto sia chiaro nel suo significato, e non sempre è di unanime interpretazione, nel senso che viene lasciato ampio apprezzamento di valutazione al Giudice al quale è sottoposta la controversia. Si tratta di una valutazione che, pur ancorata ai limiti legali di tollerabilità, non è tuttavia ad essi vincolata e ha il pregio di poter prescindere dalla misurazione dei rumori attraverso appositi strumenti. Con la conseguenza che sarà più agevole per le persone che subiscono i “rumori molesti” provare di aver subito un danno ad interessi della persona costituzionalmente garantiti, come è quello del “diritto alla salute” (art. 32 Costituzione). Sotto tale profilo, perciò, può utilmente invocarsi il fatto, da parte di chi subisce i “rumori molesti”, il “… protrarsi di un rumore per diverse ore e nel corso degli anni …”, poiché, ai fini della tutela in sede civile, “può ritenersi acquisita la prova anche per presunzioni” (cfr. Cass. n. 26899 del 2014).

Pertanto, “la valutazione della normale tollerabilità” dei “rumori molesti” è, in ogni caso, condizionata dal limite imposto dall’art. 844, secondo comma, cod. civ., all’Autorità Giudiziaria la quale deve “necessariamente contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e può tener conto della priorità di un determinato uso, con la conseguenza che bisognerà valutare differentemente la normale tollerabilità a seconda del luogo e delle condizioni in cui sorga l’immobile soggetto a immissioni fastidiose”.

Dovrà esservi, perciò, da parte del Giudice chiamato a dirimere la controversia, il giusto contemperamento dei diversi e distinti interessi in gioco.

6.– Il risarcimento del danno non patrimoniale.

Per il caso in cui le immissioni sonore siano considerate oltre il normale grado di tollerabilità e, quindi, in grado di provocare in capo alle persone un danno, esso, secondo l’orientamento della Corte di Cassazione può dar luogo anche al risarcimento di un “danno non patrimoniale”.

Difatti, in caso di tal genere, la Corte di Cassazione ha statuito il diritto al risarcimento del “danno non patrimoniale” nei casi in cui “… le immissioni siano in grado di ledere anche gli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti, come il riposo notturno, la serenità e l’equilibrio della mente …”, confermando così il consolidato e pacifico orientamento in tema affermato nel corso degli anni (cfr. sentenza n. 26899 del 2014; Cass. n. 26972 del 2008 e n. 26975del 2008).

Vi sono state anche voci contrarie, da parte della stessa Corte di Cassazione (come talora accade, a seconda della Sezione che si pronuncia): a tal proposito si veda il testo della sentenza n. 23807 del 2009, ove la stessa Corte di Cassazione ebbe a statuire che “… non sempre al riconoscimento di una tutela inibitoria contro il rumore consegue il riconoscimento del danno non patrimoniale, in quanto non sussiste, in via generale, un diritto fondamentale della persona costituzionalmente garantito alla tranquillità domestica …”.

7.– La responsabilità del gestore del locale per gli schiamazzi dei clienti.

Importante e delicata questione da affrontare, in tema di “rumori molesti” è quella relativa alla “responsabilità (penale) del gestore di un locale per gli schiamazzi dei propri clienti fuori dal locale”.

Il gestore di un locale pubblico può evitare di dover rispondere penalmente del fatto dei propri clienti che attraverso “rumori molesti disturbano il riposo e la quiete delle persone” se ha l’avvedutezza di esporre, fuori dal proprio locale, dei cartelli per invitare i clienti a evitare di causare rumori molesti. In caso di tal genere la Corte di cassazione ha escluso la “… responsabilità del gestore del locale per gli eventuali schiamazzi fatti dagli stessi all’esterno del locale …” (cfr. sentenza n. 9633 del 2015).

Difatti, secondo la summenzionata sentenza, l’assoluzione si è basata sul fatto che “… il gestore di un locale non ha alcun potere per impedire gli schiamazzi sulla pubblica via, essendo sfornito di qualsiasi potere coercitivo in caso di rifiuto …” (cfr. Cass. n. 37196 del 2014).

Ad ogni buon conto, tuttavia, “… compete al titolare di un pubblico esercizio il dovere di impedire le condotte degli avventori del proprio locale affinchè gli stessi non disturbino il risposo e la quiete delle persone e di impedire altresì che gli schiamazzi, specie durante l’orario notturno …”, principio questo che genera la responsabilità penale del gestore ex art. 659 cod. pen. (cfr. Cass. n. 13599/2011).

Più nel dettaglio, si avrà, quindi, “… la responsabilità del gestore per il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone sussiste laddove gli schiamazzi notturni risultino astrattamente idonei ad arrecare disturbo a un numero indeterminato di persone in una zona caratterizzata da blocchi di edifici strettamente contigui tra loro …” (cfr. Cass. n. 20207 del 2013).

a cura Avv. Giorgio Rossi

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