Carenza di personale generalizzata e conseguenti carichi di lavoro elevati, a fronte di stipendi che a mala pena hanno tenuto il passo con l’inflazione, segnando un pressoché nullo aumento concreto delle buste paga: è questa la realtà del comparto degli enti locali nella provincia di Bergamo, luoghi di lavoro oggi poco o per nulla attrattivi fra chi è in cerca di occupazione. La riflessione è della FP-CGIL di Bergamo che, dati INPS alla mano (appena aggiornati al 2022), cerca di spiegare perché il posto fisso in un ente locale non susciti più un grande interesse.
“Da quanto possiamo osservare direttamente nei luoghi di lavoro emerge che la garanzia del posto fisso in un Comune non è più sufficiente per motivare la partecipazione a un concorso” ha spiegato questa mattina Laura Vecchi che segue il comparto per la FP-CGIL di Bergamo. “I vincitori dei concorsi spesso rinunciano all’assunzione perché trovano altrove opportunità migliori, oppure dopo alcuni mesi rassegnano le dimissioni perché le condizioni di lavoro non sono adeguate alle aspettative e soprattutto non vengono garantiti opportuni affiancamento e formazione”.
Partiamo innanzitutto dai numeri e dalla serie storica: nel 2014 i dipendenti delle amministrazioni locali (Comuni, Unioni, Comunità montane, ente Provincia, Camera di Commercio, ecc.) erano 6.448 (dati INPS). Nel 2022 risultavano scesi a 6.286 (il dettaglio per ciascun anno, nel file in allegato).
“Il personale si è ridotto negli anni, lo dimostrano i dati, e nonostante i vincoli normativi si siano attenuati, le amministrazioni pubbliche abbiano ricominciato ad assumere e il portale unico del reclutamento INPA abbia ‘semplificato’ la ricerca dei concorsi e delle mobilità tra enti, è chiaro che i Comuni hanno difficoltà non solo a reclutare personale ma anche a trattenerlo” prosegue la sindacalista. “Il problema dell’attrattività è complesso e non può più essere ignorato, soprattutto nella nostra provincia dove il rapporto tra numero di abitanti e numero di dipendenti è ben lontano dalla media regionale e da quella nazionale (1 dipendente per 221 abitanti a Bergamo, 1 ogni 170 in Lombardia e 1 ogni 126 in Italia).
Dando uno sguardo, per un momento, ad altri comparti del settore pubblico, si scopre che in sanità il dato certifica una crescita di 513 unità (da 9.595 a 10.108). “Poche e infatti la situazione risulta decisamente critica, soprattutto se pensiamo all’emergenza pandemica e a tutti buoni propositi in termini di assunzione di personale proclamati ma poi rimasti solo sulla carta. Segnali più positivi si registrano invece nel comparto delle forze armate, di polizia e vigili del fuoco, che hanno registrato un più 933 unità”, aggiunge Vecchi.
Ha un certo peso, ovviamente, la questione salariale: nel periodo preso in considerazione (2014–2022) l’inflazione è stata del 13% ed esattamente del 13,05% è la crescita delle retribuzioni medie giornaliere nelle autonomie locali. “Quindi, zero incremento dello stipendio, nella pratica” puntualizza Vecchi. “Dunque più ombre che luci. In altri comparti pubblici è andata un po’ meglio: le retribuzioni medie giornaliere sono cresciute del 21,9 % nel settore delle amministrazioni centrali e del 34,3 % in quello della sicurezza. Peggio, invece, è andata per scuola e sanità, rispettivamente con il 9,81 % e dell’11,4 %, al di sotto dell’inflazione 2014–2022”.
Lunga la lista degli altri fattori che rendono poco interessante lavorare in un ufficio del Comune o in quelli di altri enti locali: “Il blocco delle assunzioni nella PA dal 2009 al 2020 ha ridotto le dotazioni organiche e aumentato l’età media dei dipendenti (il 46% ha un’età pari o superiore a 55 anni)” prosegue Vecchi. “Manca personale dunque i carichi di lavoro sono elevati e forte è il fenomeno di ‘esodo’ tra diversi enti e comparti della Pubblica Amministrazione. Le risorse per la formazione e l’aggiornamento del personale non sono adeguate, vincoli di legge pongono un tetto ai fondi destinati alla contrattazione decentrata e al welfare integrativo. Le misure di benessere organizzativo appaiono inadeguate o assenti”.
Sul territorio di Bergamo sono aumentati i concorsi banditi, spesso però per l’assegnazione di un solo posto. “Il punto è che i candidati con la professionalità o la preparazione richiesta sono pochi (o non ve ne sono affatto), come ci segnalano i membri impegnati nelle commissioni di concorso” aggiunge la sindacalista. “È un segnale del fatto che lavorare in un Comune non è più una precisa scelta ma una delle tante opportunità disponibili sul mercato. Anche il territorio di Bergamo non fa eccezione rispetto al trend nazionale”.
“La disparità di trattamento tra enti locali e altri comparti della PA può essere risolta solo con la contrattazione nazionale collettiva. La contrattazione decentrata è invece lasciata dal legislatore come l’unica leva per adeguare questa differenza retributiva, ma il ‘tetto’ al fondo del salario accessorio – imposto per norma – pone di fatto grossi limiti alle risorse che gli enti locali possono stanziare e scarica di fatto sul bilancio degli enti il problema. Si genera così un cortocircuito: la contrattazione decentrata ne esce depotenziata a causa dei vincoli di legge e delle risorse limitate”, conclude Vecchi. “Serve dunque un cambio di rotta. Nei prossimi dieci anni dovremo far fronte al pensionamento di almeno 1/3 dei dipendenti degli enti locali. Serve sin da ora ridare dignità al lavoro pubblico e considerare i dipendenti un valore. Serve tornare a investire sul settore pubblico e sugli enti locali in particolare. Il Comune è l’ente pubblico territoriale più rappresentativo e più vicino ai cittadini”.