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Due Vescovi a Gandino per la chiusura del Triduo

Due Vescovi a Gandino per la chiusura del Triduo

Una tradizione di fede che illumina il cammino di una comunità, ma anche un’occasione per riflettere davanti al mistero della morte, alla luce della grande Raggiera settecentesca dei maestri Caniana. Centinaia di fedeli hanno gremito la Basilica di Santa Maria Assunta a Gandino nei tre giorni del Sacro Triduo dei Morti. Lunedì 6 marzo, giornata di chiusura, la solenne concelebrazione mattutina è stata presieduta da mons. Maurizio Gervasoni, bergamasco di Sarnico, Vescovo di Vigevano dal 2013. Al suo fianco l’arcivescovo gandinese mons. Paolo Rudelli, già Osservatore della Santa Sede al Consiglio d’Europa a Strasburgo e, dal 2020, Nunzio Apostolico nello Zimbabwe. La messa è stata concelebrata da don Ferruccio Garghentini, prevosto di Gandino dallo scorso settembre, e da sacerdoti nativi o che hanno prestato servizio negli anni a Gandino. Sull’altare c’erano il vicario don Giovanni Mongodi, i gandinesi don Franco Bertocchi e don Carlo Caccia (parroco di Credaro), mons. Andrea Paiocchi (a Leffe dal 2016), don Innocente Chiodi (parroco di Bariano e già prevosto a Gandino dal 2010 al 2022), don Massimo Locatelli (parroco di Treviolo e curato a Gandino dal 1994 al 2011), don Giuseppe Merlini (parroco di Leffe e moderatore della Fraternità 3), don Alberto Gervasoni (parroco di Peia), don Egidio Rivola (parroco di Cazzano S.Andrea), don Massimo Cornelli (arciprete a Casnigo). La concelebrazione è stata accompagnata dalla Schola Cantorum Luigi Canali, diretta dal maestro Marco Guerinoni. “Le celebrazioni del Triduo – ha sottolineato mons. Gervasoni nel corso dell’omelia – devono innanzitutto ricordarci come l’eterno Amore di Dio sia il centro della nostra fede. Non siamo l’origine di noi stessi e per questo non siamo nemmeno padroni della nostra fine. Viviamo un’epoca in cui la cultura dominante vive la morte con fastidio, ritenendola un fatto privato. Il diffondersi della pratica della cremazione fa sì che vengano recisi legami forti di socialità e ricordo, che uniscono le persone e le generazioni. Personalmente ho dovuto discutere con i familiari di un mio sacerdote defunto affinchè si potesse celebrarne in chiesa il funerale. Si pensa alla morte come ad un fatto estremamente privato: le urne cinerarie dovrebbero essere conservate in un luogo pubblico ed invece, come consente la legge, sono nella disponibilità dei parenti del defunto. Essi, in un tempo non lontano, finiranno forse per dividersi non soltanto l’eredità ma anche le ceneri stesse. Tutto ciò è una distorsione pericolosa e il Triduo, tanto caro alla tradizione di fede di chi ci ha preceduto, è occasione per comprendere appieno il significato della morte e, soprattutto, dare un senso diverso alla vita di ciascuno”.
Le celebrazioni in Basilica sono state animate nei tre giorni dalla predicazione di don Francesco Airoldi, Cancelliere della Curia di Bergamo. A caratterizzare l’allestimento in Basilica è stata ancora una volta la grande Raggiera che si erge dietro l’altare maggiore. Fu realizzata dalla bottega Caniana fra il 1788 ed il 1790, dopo che quella creata nel 1777 da Donato Andrea Fantoni fu ritenuta poco consona dai committenti gandinesi. L’enorme incastellatura supera gli 11 metri di altezza e vede il Santissimo coronato da raggi con vetri policromi illuminati da lampadine elettriche (un tempo lumini). Completa l’addobbo un grande postergale (drappo che chiude la parte posteriore della raggiera) in damasco rosso, ricordo del manto purpureo con cui fu rivestito Cristo durante la Passione. Al centro della Basilica per l’occasione viene installato un catafalco con una grande coltre funebre settecentesca, di velluto nero, preziosamente ricamata in oro e seta policroma. L’altare maggiore interamente d’argento è stato arricchito anche da un paliotto in oro, ricavato dal tessuto cinquecentesco (giunto a Gandino grazie ai Baroni Giovanelli) che foderava la carrozza nuziale della Granduchessa Margherita d’Asburgo con Filippo III di Spagna nel 1599 a Valencia.

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