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Direttiva “ammazza stalle” occasione persa per valorizzare la zootecnia

Coldiretti Bergamo è estremamente critica sulla conferma dell’inutile inasprimento dei criteri per ottenere l’autorizzazione di impatto ambientale per le aziende avicole e suinicole e sottolinea che con il voto sulla direttiva emissioni industriali l’Unione Europea ha perso l’ennesima occasione di invertire la rotta, abbandonando le follie di un estremismo green

“Questo provvedimento non solo è fuori da ogni logica – afferma Gabriele Borella, presidente di Coldiretti Bergamo – ma rischia di far chiudere decine di allevamenti anche sul nostro territorio, stretti tra una burocrazia sempre più asfissiante e la concorrenza sleale dall’estero. Secondo una prima analisi dei nostri tecnici ora la direttiva in provincia di Bergamo dovrebbe interessare circa il 50 per cento degli allevamenti avicoli e il 20 per cento degli allevamenti suini. Fortunatamente è rimasta l’esclusione delle stalle bovine dalla direttiva, come richiesto dalla Coldiretti”.

Ad essere colpiti saranno numerosi allevamenti di suini e di pollame di medie e piccole dimensioni, con il risultato che a sopravvivere saranno soprattutto le aziende di grandi o grandissime dimensioni, continuando quel processo di polarizzazione delle imprese agricole (molto grandi o molto piccole), contrario agli obiettivi della Commissione europea e non positivo per la tenuta del tessuto rurale italiano e, più in generale, europeo. Penalizzate tra l’altro le aziende suinicole coinvolte nelle produzioni a Denominazione di origine protetta (Dop) assoggettate ai nuovi oneri, mettendo a rischio un comparto chiave dell’economia agroalimentare, turistica e dell’export italiani.

Si tratta del risultato – accusa Coldiretti – di una valutazione d’impatto basata su dati imprecisi e vecchi, e di un approccio ideologico che va stigmatizzato, anche perché potrebbe avere impatti negativi sull’ambiente, riducendo le aree a pascolo (perdita di biodiversità e paesaggi, minaccia alla vitalità delle aree rurali, ecc.). Ciò significa non riconoscere gli sforzi che gli allevatori stanno compiendo per aumentare la sostenibilità delle loro aziende che, su scala globale, sono già quelle che registrano le migliori performance in termini di impatto ambientale e mitigazione dei cambiamenti climatici.

Il presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha dichiarato: “Non ci fermeremo e chiederemo di intervenire al nuovo Parlamento per correggere quelle scelte che penalizzano gli agricoltori italiani ed europei”.

L’allevamento italiano è un importante comparto economico che rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, per una filiera che vale circa 55 miliardi di euro, con un impatto rilevante dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro sull’intera filiera.

“Da un lato l’agroalimentare è il motore del nostro PIL e opportunità di occupazione, dall’altro si fa di tutto per affossare il settore agricolo. – conclude Borella –. Questa contrapposizione tra agricoltura e ambiente è veramente incomprensibile visto che proprio gli agricoltori custodiscono il 55 per cento del paesaggio nazionale. E’ giusto accompagnare lo sforzo dell’agricoltura sempre più verso la sostenibilità, ma imbrigliarla in mille lacci e lacciuoli che ne compromettono lo sviluppo e ne minano la redditività, sicuramente non porterà a niente di buono”.

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