Marito e moglie di Carobbio, entrambi 47 anni, sono stati arrestati, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, dagli uomini del nucleo di polizia tributaria della Finanza di Bergamo: i due avevano denunciato di far parte di un giro di fatture false, ma sono finiti in carcere.
I finanzieri, coordinati dal pm Emanuele Marchisio, avevano però scoperto che la denuncia era strumentale e i due erano tutt’altro che al di fuori del giro anche se tra i 10 indagati in questa vicenda sono gli unici a rispondere, insieme alle figlie di 29 e 21 anni, denunciate a piede libero perché il loro ruolo sarebbe più defilato, anche di riciclaggio, reato considerato più grave dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui rispondono gli altri indagati. Marito e moglie stavano sul gradino più basso del presunto meccanismo criminale ed erano infatti i «monetizzatori», cioè coloro che procuravano il denaro in contante da restituire al pagatore. Il meccanismo delle presunta truffa è sempre lo stesso che abbiamo raccontato centinaia di volte: quello delle «cartiere», società spesso prive di dipendenti e macchinari ma con giri di fatture notevoli. Nell’ordinanza del PM di Bergamo c’è, infatti, uno stralcio dell’interrogatorio di un 57enne, di Chiuduno, residente a Palazzolo sull’Oglio, indagato e titolare di una ditta di cui non sa fornire le scritture contabili né è in grado di dire se abbia eseguito prestazioni. 4 le aziende che si erano rivolgete a lui per abbattere l’imponibile facendo figurare uscite fittizie e a lui sono contestate fatture false per 341.191,66 euro e i legali rappresentanti delle 4 società sono perciò stati indagati per aver beneficiato di tali fatture: si tratta di una 48enne, residente a Paratico, proprietaria di una ditta di accessori di moda di Villongo; un anziano pensionato di 82 anni, di Palazzolo S/O, titolare di un’azienda meccanica, un 61enne di Capriolo e una 38enne, proprietaria di una società di Comezzano-Cizzago. Questi secondo le contestazioni, dopo aver ricevuto fatture fittizie, avrebbero bonificato denaro sui conti della «cartiera» per far risultare l’uscita e abbattere l’imponibile. Ma, non avendo ricevuto né prestazioni né merce, ogni azienda pretendeva la restituzione (sottobanco) di gran parte della cifra, limitandosi così a pagare solo la prestazione per la fattura falsa. A quel punto entravano in gioco i coniugi di Carobbio e la loro «cartiera» girava, con bonifici dalle causali vaghe sui conti e su carte postepay anche delle figlie la somma da restituire all’azienda pagatrice. La famiglia di Carobbio provvedeva a prelevare contante da vari uffici postali (mai più di mille euro per non insospettire), tratteneva la percentuale per sé (dal 3 al 5%) e girava alla «cartiera» che poi faceva avere il denaro in nero alla ditta pagatrice. Ben più consistente il giro di fatture false andato in scena prima che i coniugi si autodenunciassero e due aziende edili di Villongo e Calcinate, ritenute «cartiere», avrebbero movimentato denaro per oltre un milione. Marito e moglie di Carobbio anche in questo caso avrebbero monetizzato ma erano però spariti 20 mila euro che erano stati appena prelevati e il 47enne di Carobbio aveva denunciato di essere stato rapinato. Ai titolari delle due cartiere, ora indagati in uno stralcio d’inchiesta, la rapina poco importava e rivolevano i soldi tanto che uno di loro aveva anche minacciato il tramite con una pistola e a quel punto, impaurito l’uomo, nel febbraio del 2016, aveva deciso di denunciare il giro e così era partito l’inchiesta e nella casa di Adro, dell’uomo che aveva minacciato il truffatore verrà trovata una 7,65 con matricola abrasa: subito era scattato l’arresto e una donna, una 49enne, che aveva tentato di occultare l’arma era stata denunciata per favoreggiamento. Gli inquirenti però a quel punto delle indagini avevano considerato la denuncia strumentale e servirebbe solo a liberarsi dei 4 imprenditori delle «cartiere», a uscire dal giro e a tornare all’attività precedente: cioè, secondo gli stessi investigatori, all’usura. Grazie a una ditta di commercio di mobili a Chiuduno, la donna e il marito – per l’accusa – tra il marzo 2012 e il luglio 2013 sarebbero riusciti a ottenere da istituti di prestito un milione e 63.400 euro di finanziamenti per conto di una cinquantina di persone protestate. Sulle somme concesse, marito e moglie avrebbero trattenuto percentuali dal 30 al 50%. Infine, l’uomo è indagato per simulazione di reato: a maggio 2016 aveva denunciato il furto della sua Bmw 318 D ma per l’accusa l’avrebbe venduta per 1.500 euro a un rottamatore compiacente che avrebbe provveduto a smontarla per poi rivenderne i pezzi. Il tutto, secondo le accuse presentate dal PM, perché l’uomo non riusciva a pagare le rate del leasing. Della vicenda la Finanza ha prove concrete dato che proprio sull’auto c’era una «cimice», che aveva trasmesso fino a quando non era stata trovata e distrutta dallo sfasciacarrozze.