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Cure palliative e biotestamento

Con il termine di cure palliative si intende un’assistenza attiva e totale dei pazienti terminali, quando la malattia non risponde più alle terapie e quindi il controllo del dolore, degli altri sintomi, degli aspetti emotivi, spirituali e dei problemi sociali, divengono predominanti. Le cure palliative possono essere prestate in strutture apposite (Hospice) oppure al domicilio del paziente, tramite un servizio che viene definito UCP DOM (Unità Cure palliative Domiciliari) prestato da enti erogatori accreditati. E’ un gioco di squadra e i giocatori sono: infermieri professionali, ASA, medico di medicina generale, medici specialisti ed anche i servizi sociali dei comuni oltre che ovviamente la famiglia. L’obiettivo di tutti è lenire le sofferenze fisiche, psicologiche, affettive e morali del paziente. La legge definisce l’assistenza domiciliare come l’insieme degli interventi sanitari, socio-sanitari e assistenziali che garantiscono l’erogazione di cure palliative e di terapia del dolore al domicilio della persona malata, per ciò che riguarda sia gli interventi di base, coordinati dal medico di medicina generale, sia quelli delle équipe specialistiche di cure palliative, di cui il medico di medicina generale è in ogni caso parte integrante, garantendo una continuità assistenziale ininterrotta. Cure palliative significa, quindi, non solo la sedazione del dolore, ma anche il trattamento di tutti i sintomi che possono creare disagio al paziente, come per esempio la nausea, il vomito, le piaghe da decubito conseguenti al prolungato allettamento. Per le piaghe da allettamento, fondamentale è la prevenzione, tramite l’utilizzo di presidi come i materassini anti decubito e, quando possibile, il frequente cambio di posizione del paziente. Importante e necessaria può essere anche l’alimentazione e l’idratazione per via parenterale, cioè endovenosa, oppure per via enterale, tramite sondino naso gastrico o tramite PEG. Quest’ultima consiste nel praticare un’incisione della parete addominale e della parete dello stomaco, con successiva introduzione di un catetere direttamente all’interno della cavità gastrica. Attraverso tale catetere si possono introdurre particolari alimenti nel tubo digerente. In definitiva possiamo asserire che “quando non c’è più nulla da fare, c’è ancora molto da fare.” A proposito delle cure di fine vita, in Italia, da quasi 2 anni è in vigore la legge sul biotestamento. Ogni persona maggiorenne, capace di intendere e di volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi può, attraverso disposizioni anticipate di trattamento (DAT), esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o per scrittura privata, consegnata personalmente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le stesse modalità sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Ogni singolo medico può rifiutarsi di dare corso alle DAT, tuttavia ogni azienda sanitaria pubblica o privata, anche cattolica, deve garantire la piena e corretta attuazione dei principi della legge sul biotestamento. Nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi (e sottolineo non può, ma deve) da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati.

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