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Dopo molti anni di infruttuosi tentativi di differenziazione “consensuale” della produzione di BittoDop si è preso atto che non c’è mai stata alcuna seria volontà politica da parte delle istituzioni locali di trovare una soluzione.

A Terra Madre Salone del Gusto 2016, con una conferenza stampa cui hanno partecipato Piero Sardo e Paolo Ciapparelli, è stato annunciato il cambio di nome del Bitto Storico Presidio Slow Food Italia. Si tratta di una decisione dolorosa ma necessaria per salvaguardare il valore di un’esperienza ventennale di resistenza casearia.

“Dopo molti anni di infruttuosi tentativi di differenziazione “consensuale” della nostra produzione dal BittoDop abbiamo dovuto prendere atto che non c’è mai stata alcuna seria volontà politica da parte delle istituzioni locali di trovare una soluzione”, fanno sapere. Il Bitto Storico deve così rinunciare oggi ad utilizzare il nome “Bitto” per non incorrere in violazioni di legge con rilievo penale (come messo in evidenza anche dall’assessore regionale all’agricoltura della Lombardia, Giovanni Fava). 

A questo punto, però, non è più interesse della produzione storica restare ancorata al nome “bitto”. Il disciplinare di produzione del bitto dop, infatti, si è allontanato sin dall’origine dal metodo storico e le modifiche del disciplinare del 2005 (con l’introduzione di mangimi e fermenti industriali) hanno segnato un radicale stravolgimento del metodo storico di produzione. Non vogliamo più confonderci con un bitto che, del prodotto di un tempo, conserva solo nome e forma e quasi nulla più.

I nomi cambiano e, come spesso accade, lo stesso nome finisce per vari motivi ad indicare prodotti diversi dal passato mentre, con nomi diversi, si perpetuano a volte gloriose tradizioni produttive. La nuova denominazione, Storico Ribelle, riflette in una felice sintesi, l’essenza di questa produzione sia con riguardo al suo passato secolare che alla sua storia recente quanto mai densa e appassionatamente vissuta. La nuova denominazione condensa in due parole un programma di una produzione che si richiama a valori territoriali e a un patrimonio culturale di grande valore. Valori non negoziabili – comuni ad altre realtà sparse in Italia e nel mondo – che pongono in discussione quei modelli agroalimentari che appaiono sempre più quali causa di impatti negativi su società e ambiente. Anche quando si fregiano di denominazioni di legge.