Una brutta sorpresa, quella di un capannista di Pisogne, che si è visto comminare due diverse sanzioni: una dai carabinieri forestali ed una dalla Provincia di Brescia, per aver “sottratto” parte dell’acqua di un ruscello che scorre in zona per deviarla verso il capanno che gestisce.
L’acqua deviata serve soprattutto per la pulizia delle gabbie e l’abbeverata degli uccelli, oltre che per irrigare piante da frutto e specie baccifere piantumate in quello che sembra un vero e proprio giardino naturale tra la fitta boscaglia incolta e selvaggia della zona. La derivazione dell’acqua dal ruscello è realizzata con un tubo di gomma da 1 pollice, con valvola di chiusura a monte e a valle: quando l’acqua defluisce dal ruscello finisce in una vasca di circa un metro cubo, che è già servita in altre occasioni come primo intervento in caso di incendio sterpaglie, cosa piuttosto frequente in questa parte di montagna. Per pulire le gabbie degli uccelli l’acqua viene raccolta in una tanica di circa 10 litri: l’acqua viene poi tutta riversata sul terreno e torna quindi alla sua naturale funzione. Il capanno, come previsto dalla legge di Regione Lombardia, è attivo per circa 90 giorni: un calcolo approssimativo consente di stabilire che se si usano circa 10 litri di acqua superficiale del vicino ruscello, ogni giorno, nel periodo di attività verrebbero utilizzati circa 1.000 litri di acqua in totale, non potabile, tutta restituita all’ambiente. Fin qui le ragioni del buon senso. Ma c’è un regolamento regionale Regolamento di regione Lombardia del 24 marzo 2006 , n. 2 , che disciplina l’uso delle acque superficiali e sotterranee, l’utilizzo delle acque a uso domestico, il risparmio idrico e il riutilizzo dell’acqua in attuazione dell’articolo 52, comma 1, lettera c) della Legge Regionale 12 dicembre 2003 il cui articolo 33 recita le norme per le denunce annuali delle acque derivate e per i misuratori di portata che parla chiaro: ogni derivazione di acqua deve essere autorizzata dietro specifica denuncia con documentazione allegata. Che, nel caso, deve essere composta da una relazione idrogeologica, tecnica, progettuale, ambientale, paesaggistica, con schede previste dalla citata legge, elaborati grafici, mappali e porgetti redatti nelle scale previste dal Regolamento e riportato su supporti informatici, oltre alla documentazione personale che riguarda il richiedente. Ora il capannista multato avrà trenta giorni di tempo per mettersi in regola con il pregresso e dovrà pagare, tra ammende e documentazione varia, non meno di 5.000 euro. Quindi, se vorrà continuare l’attività, dovrà iniziare il lungo e oneroso iter previsto dal regolamento 24 marzo 2006. Altri capannisti, appresa la notizia, stanno decidendo il da farsi: alcuni propendono addirittura per abbandonare le loro zone che, con la loro presenza, sono diventate dei veri giardini nei boschi, come dimostra anche il concorso del capanno più bello che si svolge a Pisogne. Ma la legge deve essere applicata e non prevede deroghe né ignoranza specifica. L’alternativa è lasciare che anche questa delicata attività di salvaguardia delle zone spesso impervie e selvagge, venga abbandonata con il risultato ben immaginabile, partendo dall’attività di vigilanza contro i fenomeni di bracconaggio, danneggiamento e incendio della montagna abbandonata a sé stessa.