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“Ci sono volute quattro legislature (il primo disegno di legge risale al 2001), un intenso lavoro parlamentare e politico, una robusta e coesa coalizione sociale e territoriale, e alla fine il risultato si è concretizzato”. Cosi’ l’on.Enrico Borghi, presidente dell’Uncem e secondo firmatario del provvedimento nonchè relatore alla Camera, commenta quanto accaduto giovedì scorso, 28 settembre, quando ad un anno esatto dall’approvazione avvenuta alla Camera, il Senato ha definitivamente approvato la legge per i piccoli comuni e il recupero dei centri storici (che riassume al proprio interno i provvedimenti a favore della montagna).

Onorevole, come giudica questa legge? “Si tratta di un risultato storico: mai, prima d’ora, era accaduto che nell’ordinamento repubblicano si facesse spazio ad una normativa che tenesse conto della specificità dei territori amministrati dai piccoli comuni. E’ la prima volta in 70 anni di vita che la Repubblica si “accorge” che oltre metà del proprio territorio è amministrata da comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, che abbisognano di una chiave di lettura diversa da quella delle aree urbane e delle città metropolitane.

E vi è un secondo elemento di principio altrettanto rilevante. Per la prima volta, in una legge dello Stato vi è il riconoscimento che la residenza in un piccolo comune è un “bene comune” nazionale. Chi vive a Trasquera piuttosto che a Montelepre, insomma, svolge una funzione di tutela e di salvaguardia dell’identità nazionale, dei beni storici, architettonici, paesaggistici, culturali e ambientali di cui l’Italia è ricca, nonchè di presidio e di tutela del territorio ai fini della preservazione dal dissesto. Fino a ieri, il progresso veniva dipinto come il “naturale” spostamento di masse di individui dalle campagne e dalle montagne alle città, e le legge assecondavano, ordinavano e addirittura spingevano in questa direzione. Per la prima volta, con questa legge assistiamo ad una inversione di tendenza, che va nella direzione di affermare che la vera modernità (quella dello sviluppo sostenibile, del rapporto equilibrato uomo-natura, della salvaguardia del creato) è trovare un nuovo equilibrio e una nuova coniugazione tra uomo e ambiente, tema che trova nei territori dei piccoli Comuni un territorio ideale di elezione, di sperimentazione e di elaborazione. 

Lei ha insistito più volte sul fatto che non si tratti di una legge per un piccolo mondo antico. Perchè? “La modernità non è più, come nel Novecento, la rincorsa verso le metropoli per rinchiudersi dentro giganteschi ed anonimi falansteri per essere trasformati in piccole pedine del capitalismo fordista e taylorista, in piccole e anonime formiche dell’agglomerazione urbana. Quella che ieri era modernità, oggi è diventata fattore di difficoltà: basti vedere con quanta fatica nascono in Italia le Città Metropolitane, e con quanta difficoltà riescono a governare territori rigidi, pieni di rendite e che -purtroppo- faticano a stare al passo con il grado di innovazione e di leadership delle città europee. L’immagine desolata della capitale d’Italia, sotto questo profilo,  parla da sola.

Dentro la nuova modernità che emerge, questa legge ha un altro profilo, di assoluta controtendenza rispetto al passato: premia il concetto di coesione sociale e territoriale, investe sulla voglia delle comunità locali di essere protagoniste di sè stesse abbandonando decenni di assistenzialismo e di sordità dello Stato, immagina un’Italia -per dirla con Ermete Realacci, col quale abbiamo condotto una battaglia intensa sul tema- che fa l’Italia. E cioè che investe su bellezza, coesione, identità, patriottismo dolce nell’era dei nazionalismi feroci che spaccano e dividono.”

Un dato che colpisce è il fatto che in un momento di forti divaricazioni politiche, la legge sia stata votata all’unanimità nei due rami del Parlamento. Perchè secondo lei? “Non credo sia un caso che questa legge abbia avuto -sia pure in un quadro di differenti posizioni come è giusto che sia in democrazia- un consenso larghissimo, sia nel Parlamento (approvata dall’unanimità alla Camera, con soli due astenuti al Senato) che nel Paese, come dimostrano i commenti e gli interventi che i principali media hanno dedicato a questa approvazione definitiva. “Avvenire” l’ha definita “civilissima riforma”, cogliendo a mio avviso il nodo vero del tasso di innovazione non solo nelle cose che ho ricordato, ma anche nel suo messaggio che invia all’Europa delle rigide regole di bilancio che è possibile vivere -senza scialacquare- dentro modelli che non si reggono solo sui numeri ma sulle comunità . E non credo sia un caso che su questa legge sono addirittura intervenuti, con passaggi che -lo confesso- mi hanno molto emozionato, il Presidente della Repubblica prima e Papa Francesco immediatamente dopo la sua approvazione.”

Ora possiamo dirci arrivati, come piccoli comuni montani? “Non direi. Come tutti gli strumenti legislativi, essa non è nè il Decalogo sceso dal Sinai nè il Talmud. Funzionerà e darà frutti nella misura in cui sarà incarnata nelle battaglie, nelle lotte e nella volontà di protagonismo delle comunità locali, e dei loro Sindaci ai quali assegnamo una funzione importantissima e inedita: quella di essere gli ideatori e gli attuatori dello sviluppo locale dei loro territori, lavorando in squadra tra loro e non in deleteri e antiquati municipalismi campanilistici e concretizzando con i loro risultati un processo che la legge, essendo “legge quadro”, vuole aprire e non circoscrivere in assoluto all’interno dei propri diciassette articoli.”

Perchè lei attribuisce molta importanza all’articolo 13 sulle Unioni di Comuni montani? “Perchè quell’articolo ha in sè due importanti novità. La prima che attribuisce per la prima volta la funzione di sviluppo socio-economico ai piccoli comuni, funzione in precedenza assegnata dalla legge solo alle città capoluogo di provincia o superiori ai 100.000 abitanti. La seconda è che tale funzione, per criteri di efficienza ed efficacia, va esercitata in maniera associata attraverso le Unioni di Comuni montani. E’ il modo con il quale possiamo ricostruire la trama istituzionale della montagna italiana, dopo anni di sbrigo istituzionale che ha rischiato di farla franare”.

Lei ha scritto che si tratta di una legge politica. Perchè? “E’ certamente una legge molto politica, e su questo – se volete – potete trovare le tracce del mio personale lavoro al tema, che vi assicuro è stato lungo, intenso e appassionato. Perchè questa è una legge che nasce dal presupposto e dal pensiero che la politica sia lo strumento per la liberazione dei più deboli e dei più lontani dalla sfera del potere, e perchè ho potuto personalmente toccare con mano come negli anni della crisi il sentimento di egoismo, di autosufficienza e di neo-coloniasmo sia rinato nelle classi dirigenti del paese (non solo in quelle politiche, ma anche in quelle culturali e mediatiche), sentimento che ha portato a ritenere che questi territori fossero solo serventi e funzionali alle logiche del potere che risiede nelle grandi città. Contro questo pregiudizio ci siamo battuti, ed essere riusciti a portare in fondo una legge di iniziativa parlamentare (sono pochissime quelle che sopravvivono al  la terribile “navetta” tra i due rami del Parlamento) rappresenta – a mio avviso- un segnale di fiducia e di speranza per il Paese. Perchè questa non è solo una legge per i territori dei piccoli comuni. E’ anzitutto, e soprattutto, una legge per l’Italia che riscopre – finalmente – sè stessa.”