(Contributo tratto da IBL – Istituto Bruno Leoni)
Domenica e lunedì gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi su cinque quesiti referendari: quattro sul lavoro e uno sui requisiti per ottenere la cittadinanza. Quelli sul lavoro, in particolare, hanno l’obiettivo di smontare ciò che è rimasto del Jobs Act, dopo innumerevoli interventi normativi e sentenze della Corte costituzionale che ne hanno già ampiamente ridimensionato la portata.
In particolare, i quesiti riguardano il diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo, la determinazione del limite massimo all’indennità in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese, l’obbligo di motivazione nei contratti a termine inferiori ai dodici mesi e la responsabilità solidale del committente.
Nella sostanza, i referendum sul lavoro ripropongono le vecchie tutele difensive del tempo in cui i lavori erano tutti subalterni e ripetitivi. Se vincessero i sì, cambierebbe poco delle disposizioni vigenti. Nondimeno, si invertirebbe una direzione di marcia: quella che ha condotto agli attuali alti tassi di partecipazione al lavoro e bassi tassi di disoccupazione.
Il mercato del lavoro segna, oggi, risultati record: il numero di occupati e di ore lavorate continua ad aumentare, il part time scende a vantaggio dell’occupazione a tempo pieno, i contratti a termine si riducono a favore di quelli a tempo indeterminato e le false partite Iva sono in calo da tempo, come ha avvertito il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta.
Questo non significa che non vi siano segnali preoccupanti nell’economia italiana: la crescita dell’occupazione in un contesto di stagnazione del PIL mostra un declino della produttività. Ma questo problema non può certo essere risolto irrigidendo il mercato del lavoro: al contrario, occorre rimuovere lacci e lacciuoli che impediscono il dinamismo imprenditoriale e l’innovazione.
Se dunque la vittoria dei referendum rischia di danneggiare l’economia e gli stessi lavoratori senza produrre benefici, allora la strategia razionale per impedire che ciò accada è l’astensione, almeno sui quattro quesiti sul lavoro.
È alla luce di queste considerazioni, si può concludere che i referendum sul lavoro sono dannosi, e che il modo migliore per scongiurarli è l’astensione.
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