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Rapporto Draghi, di questo ha bisogno l’Europa?

Invito alla lettura e all’approfondimento

Il Rapporto Draghi, pubblicato il 9 settembre, propone profonde riforme della governance e degli obiettivi dell’Unione europea, tra cui una forte centralizzazione delle politiche economiche, un significativo aumento degli investimenti pubblici, l’adozione di misure per l’autonomia strategica; ma mette anche in discussione numerose scelte che sono state qualificanti per la politica europea negli ultimi anni, a partire dal bando del motore endotermico nel 2035.

L’agenda avanzata dall’ex presidente della Bce è quello di cui l’Europa ha bisogno? Le proposte contenute nel Rapporto sono realizzabili in pratica? Nel webinar che si è tenuto mercoledi 18 settembre si è cercato di mettere a fuoco il messaggio che Draghi ha inviato all’Europa e comprendere se, e fino a che punto, esso è compatibile con gli obiettivi della crescita economica e della concorrenza. (Guarda la registrazione del webinar sul canale YouTube dell’IBL)

Daniel Gros ha spiegato che il Rapporto Draghi “fa la giusta diagnosi ma poi propone una cura sbagliata. Il Rapporto individua correttamente la principale ragione del gap di crescita europeo nella specializzazione produttiva delle imprese europee, quella che io chiamo ‘trappola della tecnologia di mezzo’, cioè l’Europa è praticamente assente da quei settori dell’Ict e del digitale a cui è riconducibile la crescita della produttività americana. Tuttavia negli Stati Uniti questo sviluppo non è stato guidato dalle politiche industriali o dalla spesa pubblica, ma è stato il frutto di un processo evolutivo dal basso. Il problema è che l’innovazione è fatta da imprese che nove volte su dieci falliscono e una su dieci hanno successo: quindi i benefici del successo devono essere sufficientemente alti da compensare il rischio di fallimento. In Europa il costo del fallimento è troppo elevato, quindi l’aspettativa del successo non è sufficiente a motivare l’assunzione di rischio nello sviluppo di nuovi prodotti. Nessuna politica industriale, specie se diretta a rafforzare le imprese esistenti, può risolvere questo problema”.

Secondo Daniel Lacalle, “l’idea di ‘sicurezza’ è onnipresente nel Rapporto Draghi e viene spesso invocata per giustificare una maggiore autoreferenzialità e una relativa chiusura al commercio internazionale. E’ vero che anche altri paesi, come Cina e Stati Uniti, hanno adottato misure protezionistiche, ma questa è la ragione per cui esprimono tassi di crescita inferiori al potenziale: il fatto che gli altri mettano in atto politiche commerciali autolesioniste non è una buona ragione per farlo anche noi. Ciò detto, il principale motivo per cui la Cina e gli Stati Uniti crescono è che hanno adottato istituzioni che consentono di remunerare la creazione di ricchezza. La spesa pubblica in settori come la difesa può essere necessaria ma non è certo un investimento che produce crescita. L’Europa ha perso la leadership tecnologica, anche in settori come le telecomunicazioni in cui venti o trent’anni fa era molto avanzata, perché ha preteso di lasciare alla politica un forte potere di indirizzo verso le imprese. Il Rapporto Draghi non fa che riproporre la ricetta della politica industriale e come tale indica la direzione opposta a quella che dovremmo seguire”.

Nicola Rossi ha sottolineato che “il Rapporto Draghi sembra scritto dalla Commissione per la Commissione: parla alle istituzioni europee ma non ai cittadini europei. Gli europei hanno visioni e aspirazioni diverse: nel Rapporto non c’è una parola su questo eppure non si può ignorare il fatto che, se vogliamo un’Europa più competitiva, dobbiamo anzitutto convincere gli europei che ciò è nel loro interesse, che il mercato interno è nel loro interesse, che l’attitudine al rischio è nel loro interesse e così via. Invece il Rapporto propone di aumentare il bilancio e il debito europei, come se fossimo alle porte di un ‘momento hamiltoniano’. Ma negli Stati Uniti del 1790, l’abilità di Alexander Hamilton fu quella di costruire una coalizione di investitori nei titoli di debito delle colonie e convincerli che era nel loro interesse portare il debito in capo al governo federale. In Europa, gran parte degli investitori nel debito pubblico sono la Banca centrale europea e il sistema bancario, cosa chiarissima in Italia più che altrove. In queste condizioni costruire la coalizione di Hamilton è molto complesso: il Rapporto Draghi viene spesso presentato come uno sforzo di pragmatismo, ma in questo caso mi sembra che non lo sia affatto”.

 

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