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Aumento significativo dell’occupazione, con percentuali più alte della media regionale, crescita del fatturato e ripresa rapida: nel periodo post pandemico le cooperative bergamasche hanno registrato trend positivi, con percentuali spesso superiori alla media regionale. È quanto emerso in “Discontinuità e conferme: le cooperative di Bergamo alla prova della pandemia”, ricerca condotta da Confcooperative Bergamo e da CSA Coesi, con il CESC-Centro sulle dinamiche economiche, sociali e della cooperazione dell’Università degli studi di Bergamo e con il contributo della Camera di commercio di Bergamo.

Presentato oggi nella sede di Confcooperative Bergamo, alla presenza dei componenti del Consiglio Regionale di Confcooperative Lombardia e del Collegio dei Revisori dei Conti di Confcooperative Lombardia, oltre ai consiglieri di Confcooperative Bergamo, il documento ha analizzato i principali indicatori economici e i comportamenti delle cooperative durante e dopo il Covid, confrontandoli con quelli delle altre imprese del territorio, offrendo uno sguardo sulla tenuta economica e sulla produttività, proponendo anche le prospettive future.

Il complesso studio ha rilevato una serie di trend, giungendo a una conclusione: la ripresa è stata veloce e ha compensato gli effetti negativi del periodo pandemico.

“Il rapporto conferma che le cooperative sono imprese che hanno il pregio di difendere l’occupazione – commenta Giuseppe Guerini, presidente di Confcooperative Bergamo – un dato che permane, non solo perché ricorrente anche a livello internazionale, ma perché tutte le indagini realizzate in questi anni sulle cooperative nel nostro contesto territoriale descrivono la capacità di adattamento delle cooperative, anche nei momenti più sfavorevoli, riuscendo a difendere il lavoro dei propri soci e lavoratori. Anche quando si evidenziano indicatori in controtendenza – come nel dato che rileva una maggiore perdita di posti di lavoro durante la pandemia da parte delle cooperative bergamasche comparata con le cooperative di altre province lombarde – questo aspetto appare evidentemente determinato dal maggiore impatto che la pandemia ha provocato nella provincia di Bergamo. Ma, in ogni caso, se analizziamo la perdita di occupati nelle cooperative e nelle altre imprese nello stesso territorio, le cooperative anche in questo caso sembrano preservare più posti di lavoro”.

Alla presenza di Massimo Minelli, presidente di Confcooperative Lombardia, Cristiana Cattaneo, prorettore con Delega alla programmazione e al bilancio dell’Università di Bergamo, Annalisa Cristini, ricercatrice CESC, prorettore Unibg con delega al Welfare e allo Sviluppo sostenibile e delegata del Rettore alla Mobilità sostenibile, oltre a Massimo Monzani, presidente di CSA Coesi, e Orietta Locatelli, referente area Ricerca e Comunicazione di Confcooperative Bergamo, sono stati illustrati i principali dati.

Nel 2021 le cooperative sociali lombarde risultavano pari a 1.547 contro le 201 bergamasche. Queste ultime hanno perso una quota significativa di occupati tra il 2019 e il 2020, -3,54%, rispetto alle lombarde per le quali gli occupati si sono ridotti dello 0,42%. La ripresa però tra il 2020 e il 2021 per le cooperative bergamasche è stata molto più ampia rispetto alle altre coop lombarde, rispettivamente +12,67% e +1,77%.

Le coop sociali orobiche hanno sofferto di più in termini di riduzione del numero di occupati per effetto del Covid: negli anni precedenti vi era stato un aumento, passando da 49,6 addetti medi nel 2018 a 53 nel 2019, mentre per le cooperative sociali lombarde il numero era rimasto per lo più identico. Le bergamasche, tuttavia, pur riducendo il numero di addetti nel 2020 rispetto all’anno precedente, hanno evidenziato comunque un valore simile o addirittura maggiore di quello registrato nel 2017 e nel 2018. Inoltre, dopo il Covid vi è stata una ripresa significativa che ha portato a un numero medio di addetti per cooperativa addirittura superiore a quello degli anni passati.

Le coop sociali bergamasche mostrano un valore aggiunto medio maggiore di quello delle coop sociali lombarde, ma la produttività del lavoro (rapporto tra valore aggiunto e numero degli occupati) risulta, invece, costantemente inferiore: da un valore aggiunto aggregato pari a 224,259 milioni di euro nel 2019 si è passati a 194,815 nel 2020 (-13,13%) e a un dato in aumento pari a 246,255 nel 2021 con un +26,40% rispetto al 2020. Questo è dovuto al numero di occupati nelle cooperative bergamasche che è maggiore rispetto alla media delle altre cooperative sociali lombarde. La produttività delle bergamasche aveva avuto un trend in crescita prima del Covid, ma proprio nel 2020 ha subito una forte contrazione per poi riprendere a crescere sui livelli pre-pandemia.

Il fatturato complessivo è passato da 348,192 milioni di euro del 2019 ai 309,601 del 2020 (-11,08%, per poi tornare a salire, toccando i 376,616 nel 2021, e registrando una crescita del 21.65%.

Gli utili medi sono risultati maggiori rispetto alle cooperative sociali lombarde. Si nota però la decisa flessione nell’anno del Covid a cui è seguita una netta ripresa nell’anno successivo.

Infine, l’incidenza degli altri ricavi sul fatturato è stata decisamente inferiore per le cooperative sociali bergamasche, in particolare la forbice si allarga notevolmente nel 2019 quando le coop sociali di Bergamo registrano una forte riduzione dell’incidenza, che torna a crescere notevolmente nel 2020 per riportarsi su valori inferiori nel 2021.

“La pandemia – commenta Giuseppe Guerini – si è rivelata un acceleratore di processi che si stavano preparando da tempo, spinti da un lato dalle innovazioni tecnologiche, dall’altro lato dalla sempre più evidente manifestazione degli effetti degli squilibri demografici che per troppo tempo abbiamo trascurato. Nelle cooperative la flessibilità, la propensione ad adattare il contesto e i tempi di lavoro in funzione delle esigenze delle persone, che nelle cooperative sociali di inserimento lavorativo è la ragione della capacità di mantenere occupate persone svantaggiate, è una caratteristica presente da tempo. La pandemia ha messo in evidenza che si può mantenere il livello di produttività anche con forme di telelavoro, ma questo riguarda solo una minima parte del totale degli occupati nelle nostre cooperative, che in generale hanno saputo introdurre con qualità e intelligenza nuove forme di organizzazione – in particolare per quello che possiamo sbrigativamente definire lavoro d’ufficio. Completamente diverso è il contesto in cui invece l’intensità di lavoro è tutta basata sulla presenza fisica delle persone, pensiamo al lavoro di cura, all’attività di educazione e assistenza con persone disabili, alle comunità di accoglienza e trattamento. Qui le tecnologie possono essere di ausilio, ma è la presenza e la relazione diretta il contenuto essenziale del lavoro. Questo per certi versi aiuta a spiegare il “deficit di produttività” che, adottando strumenti di indagine e interpretazione ‘ortodossi’, viene descritta come una delle critiche o degli elementi di debolezza delle cooperative, in particolare delle cooperative sociali”.

E spiega: “Sulla questione della produttività la ricerca non ci offre risposte, ma credo invece ci imponga di rilanciare un interrogativo e una sfida al mondo accademico e ai ricercatori circa la necessità di trovare specifici sistemi e indicatori per misurare la produttività delle imprese a movente motivazionale, cioè delle imprese come le cooperative che non perseguono il profitto come fine e non hanno come missione la remunerazione del capitale. La produttività viene influenzata da vari fattori: dalle tecnologie alle infrastrutture, dall’istruzione e formazione alle pratiche di gestione e organizzazione del lavoro. Ma il principale indicatore col quale viene generalmente misurata la produttività si basa sul valore economico creato per ora lavorata. Quindi appare subito evidente che se la missione di una cooperativa di lavoro a mutualità prevalente è ripartire in modo efficiente ed equo il lavoro tra i soci, la misurazione della produttività dovrebbe contemplare il lavoro come valore in sé, espressione diretta dello scopo sociale dell’impresa cooperativa. Un valore del lavoro, che nel caso delle cooperative sociali di inserimento lavorativo diventa il primo indicatore di produttività. Intendo dire che se una cooperativa sociale di inserimento lavorativo ha come funzione la creazione di posti di lavoro adeguati per occupare persone svantaggiate, non può essere il valore aggiunto per ora lavorata l’indicatore di successo o di produttività, ma deve essere, piuttosto, quanto valore sociale e quanto lavoro è stato creato a partire dal servizio o dal prodotto realizzato. Un ragionamento analogo andrebbe fatto per misurare la produttività delle cooperative sociali che si occupano di assistenza, educazione, servizi sociali e sanitari. Misurare la produttività dei lavoratori in base al valore generato dalle ore lavorate è addirittura distorsivo e genera effetti perversi, come la scarsa valorizzazione e il basso salario che viene riconosciuto a chi si occupa di cura e di educazione”.

In conclusione: “Per quanto produttività ed economia sociale possano sembrare distinte, in realtà sono interconnesse in vari modi. L’economia sociale può contribuire alla produttività rispondendo ai bisogni sociali, investendo nella crescita delle persone (gli economisti direbbero “forza lavoro“ o “capitale umano”), promuovendo pratiche sostenibili e orientate alla comunità. Questo non significa rifuggire dalla ricerca continua della migliore efficienza poiché, comunque, gli incrementi di produttività servono a sostenere la sostenibilità finanziaria delle cooperative, consentendo loro di realizzare le loro missioni sociali e ambientali in modo più efficace”.