Prosegue inarrestabile il calo della popolazione italiana e, contemporaneamente, l’invecchiamento di quella bergamasca. Secondo i dati ISTAT presentati in sede di audizione per la Nadef, in quest’anno gli italiani sono calati di circa 70 mila unità, mentre non accenna a diminuire il calo delle nascite, che in questo stesso periodo sono state pari a 213 mila, con una differenza del 2.6% in meno rispetto al 2022 e del 10.2% in meno rispetto al 2019.
Proprio questo aspetto è stato analizzato dal Dipartimento Welfare della CISL di Bergamo (sempre su dati ISTAT), con una proiezione al 2042.
Da qui a vent’anni, dunque, il numero di bergamaschi residenti sarà superiore a quello attuale, con una crescita di quasi il 2% (da 1.102.997 a1.124.935), ma “crolleranno” i giovani e le persone “in età da lavoro”: la popolazione tra gli 0 e i 14 anni scenderà di quasi il 15% (da 150mila e 132mila), quella dai 15 ai 64 anni perderà quasi 80mila unità, dagli attuali 711mila residenti ai futuri 639mila. Crescerà vertiginosamente, invece, la quota degli over65: un più46.48%.
Ci avviciniamo velocemente, così, a una società sempre più anziana e a una popolazione attiva sempre meno numerosa, con i conseguenti problemi legati a assistenza e previdenza, che dovranno fare i conti con sempre meno risorse.
Al termine del 2022, infatti, la popolazione “attiva” rappresentava quasi il 65% del totale dei residenti. Nella proiezione al 2042, questa fetta scende al 57%.
Da un punto di vista “geografico”, il nucleo del problema risiede nelle valli e nei paesi di montagna: da qui, l’esodo verso le località più vicine al capoluogo o nei centri della bassa maggiormente interessati dallo sviluppo infrastrutturale è drammaticamente visibile, e apre l’annoso problema delle opportunità di lavoro per i giovani nelle zone più disagiate.
“Dobbiamo cercare di invertire il senso di ineluttabilità della situazione – dice Angelo Murabito, segretario provinciale CISL -: di questi tempi, il trend di denatalità interessa sostanzialmente tutte le nazioni sviluppate, ma l’Italia rimane colpevolmente in ritardo. Le politiche tradizionali di “sostegno” ai nuclei familiari hanno fatto il loro tempo e adesso appaiono inefficaci, oltre che assolutamente insufficienti economicamente. Noi chiediamo da tempo politiche più audaci che aiutino nella scelta di avere figli e intervengano sulla struttura della società per promuovere ambienti favorevoli alla crescita demografica e alla prosperità delle famiglie, comprese quelle di “nuova concezione”. Sarà necessario un piano strategico che consideri le risorse alla natalità non una spesa, ma un investimento per l’intera società”.
L’attenzione di Murabito si sposta verso l’ambiente privilegiato per ogni sindacalista: “La contrattazione, per quanto ci riguarda quella di secondo livello, oltre che sugli aspetti salariali, può intervenire con attenzione e sostanza nel panorama generale per contrastare il problema. L’attenzione alla famiglia deve partire dal luogo di lavoro, dove l’attenzione alla genitorialità, femminile o maschile che sia, deve essere il focus di ogni trattativa e trovare da ogni sponda del tavolo la giusta attenzione. Le aziende devono fare la loro parte, adottando misure organizzative declinate sulla flessibilità, per fare in modo che i giovani entrino e trovino condizioni, economiche e sociali, tali da avere la sicurezza utile a pensare di creare una nuova famiglia. E anche la bilateralità presente nel nostro territorio può dare risposte in termini di sostegno alla genitorialità.
Noi siamo pronti per avviare una piattaforma territoriale per aprire la discussione con istituzioni, aziende e le altre parti sociali al fine di promuovere localmente interventi strutturali a sostegno di maternità e paternità”.
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