E’ uno stato di crisi pesante quello che sta colpendo gli apicoltori nell’Alta Lombardia e, in particolare, nelle province di Como, Lecco e Varese: sbalzi termici, le api che arrivano da uno stato di stress pesante e perdurante dallo scorso anno, complice la siccità. E, come colpo di grazia, il passaggio da una primavera asciutta a settimane ininterrotte di pioggia, complice una bassa pressione che staziona tutt’ora sul centro nord Italia.
Il risultato? «Si è prodotto poco o nulla, dai due ai cinque chili di miele di acacia per alveare che, rapportati ai raccolti di una ventina d’anni fa, quando medie di 25 kg con punte di 35, danno l’idea di quanto il polso della situazione risulti drammatico» denuncia Mario Colombo, entomologo e professore all’Università Statale di Milano, esperto di apicoltura. «Senza contare – aggiunge – che in molti casi si è reso necessario lasciare quel poco raccolto alle api, per permettere loro di alimentarsi e sopravvivere: si è dovuto in ogni caso intervenire per alimentare artificialmente gli insetti, con conseguenti spese a fronte di un guadagno pari a zero. E ora le imprese sono in difficoltà: per salvare, giustamente, le famiglie delle api, sono rimaste a secco quelle degli apicoltori. Ora l’ultima speranza è riposta nella raccolta del miele di varietà castagno e tiglio, sia in pianura che in montagna: tutto dipenderà dalle prossime settimane e da come evolverà la situazione, solo un bel tempo stabile e caldo potrà evitare danni maggiori».
Il clima pazzo con sbalzi improvvisi dalla siccità ai nubifragi e dal caldo al freddo, senza dimenticare le gelate tardive, sta compromettendo le raccolte di mieli primaverili in tutto il nord Lombardia: a ciò si aggiunge anche una forte moria di piante, sempre colpa del clima, e una scarsità di nettare a disposizione delle api.
Tra Como, Lecco e Varese – prosegue la Coldiretti Lombardia – la grandine che ha colpito l’areale alpino ha aggravato la raccolta dell’acacia resa difficile già dalle piogge. Già lo scorso anno l’Italia – continua la Coldiretti – ha detto addio a quasi 1 vasetto di miele su 4 (23%) rispetto a poco più di un decennio fa. Il calo delle produzioni ha lasciato spazio alle importazioni dall’estero che a livello nazionale nel 2022 sono cresciute del +12%, provenienti anche da Paesi che non sempre brillano per trasparenza e sicurezza alimentare.
Il miele prodotto sul territorio nazionale, dove non sono ammesse coltivazioni Ogm a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina, è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria fortemente sostenuta dalla Coldiretti. La parola Italia deve essere presente per legge sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale (Es. Miele italiano) mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi dell’unione Europea, l’etichetta – continua la Coldiretti – deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della Ue” indicando il nome dei Paesi (ad esempio, se viene da Italia e Ungheria sul barattolo dovrà esserci scritto Italia, Ungheria); se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della Ue” con il nome dei Paesi, mentre se si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della Ue”, anche qui con l’indicazione dei nomi dei Paesi.