Nel corso del XX secolo, l’Italia è stata macchiata dal sangue di numerose stragi. Innocenti, colpevoli – a patto che si possa essere colpevoli di qualcosa che meriti una morte violenta – e neutrali; sono stati in molti a rimanere coinvolti. Ma di tutti questi dolorosi momenti, mai come in quello del 28 maggio 1974 il movente fu da subito evidente: quella di Brescia fu la strage più “politica”. Non furono casuali né i soggetti né il luogo dell’attentato. Una piazza durante una manifestazione politica, dichiaratamente antifascista, convocata da sindacati e partiti dell’arco costituzionale. I presenti, tutti giunti per protestare gli attentati dell’estrema destra: in altre parole, cittadini militanti. E proprio per questa ragione brutalmente sterminati.
Uno schiaffo, esplicito e potente, a chi diceva no al clima di violenza imposto in quel momento in Italia, soprattutto dai movimenti neofascisti e dalle trame nere. Nella centrale Piazza della Loggia, una bomba nascosta in un cestino portarifiuti esplode all’improvviso. Uno squarcio nel cielo. Perdono la vita 8 persone, rimangono feriti in 102. E così un evento registrato in diretta con l’intento di divulgare il messaggio di una nuova resistenza si trasformò nel più forte segnale della fazione opposta, di chi quella resistenza voleva stroncarla sul nascere. Quel boato è udibile ancora oggi, come testimonianza di un periodo drammatico. Successivamente, le coperture e i depistaggi che hanno coperto gli stragisti di Brescia, per oltre quarant’anni hanno lasciato tutto in sospeso, a dimostrazione che dietro quell’esplosione non c’era un semplice gruppo di neofascisti, ma un disegno molto più ampio.
Si è dovuto aspettare fino al 2017 per giungere alla condanna definitiva per due colpevoli acclarati: un capo e un manovale dell’estremismo nero, quest’ultimo a sua volta informatore dei servizi segreti. Furono la tenacia di alcuni magistrati, unità all’ostinazione dei parenti delle vittime, a portare al risultato di rompere il dogma delle stragi impunite. Oggi ricordiamo la “via crucis” che il Paese ha dovuto attraversare dopo l’uscita dalla guerra e con la nascita della democrazia repubblicana, per lungo tempo afflitta da una violenza politica che, oltre agli eccidi indiscriminati, ha prodotto anche il terrorismo selettivo di altri gruppi armati, sia rossi che neri.