In montagna si muore di più, 485 morti nel 2017, il 20,01% in più rispetto all’anno precedente: quasi 25 interventi al giorno e, soprattutto, molte più vittime: escursionisti, sciatori, appassionati di mountain bike ed esploratori di grotte, alpinisti che non sono mai più tornati a valle.
Sono i dati del Corpo nazionale del Soccorso Alpino a fotografare una situazione preoccupante, proprio nel giorno in cui nel Bresciano altri tre escursionisti sono stati travolti da una valanga: due sono rimasti illesi, ma uno è morto in ospedale «Il 2017 andrà catalogato negli annali come il primo anno in cui si è superata la soglia psicologica dei 9.000 soccorsi, con un balzo in avanti di 856 interventi», dicono dal Cai. Numeri mai così alti negli ultimi dieci anni, quando la media si attestava attorno agli ottomila interventi. Ma non solo: i soccorsi nei confronti dei soci del Cai, il Club alpino italiano, sono il 7% del totale. Significa che a morire non è chi conosce i rischi e affronta in modo consapevole l’andare in montagna. Complessivamente sono state soccorse in 12 mesi 8.867 persone, il 21,89% in più rispetto al 2016. La maggior parte delle richieste d’intervento, il 40,4%, riguardano escursionisti: «Un dato», dicono dal Soccorso Alpino, «che non accenna a diminuire nonostante le campagne di prevenzione». La prima causa di incidenti resta la caduta/scivolata, che tocca il 47,5% delle richieste d’intervento. Ma ben 2.213 interventi, dunque uno su quattro, sono la conseguenza dell’incapacità di chi ha affrontato la montagna senza essere preparato.