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Rinuncia all’eredità: una pericolosa novità

Torniamo sul tema della rinuncia all’eredità. Vi è infatti una pericolosa novità. Ne parliamo con un esperto, il dr. Paolo Divizia, Notaio con sede a Bergamo ed ufficio secondario in Val Brembana a San Giovanni Bianco.

Notaio, ritorniamo sul tema della rinuncia? «Assolutamente sì, è importante. Come già spiegato in un precedente numero, il chiamato all’eredità nel possesso di beni ereditari che intenda rinunciare all’eredità, dovrebbe semplicemente formalizzare la rinuncia davanti al Notaio, entro il termine di tre mesi dall’apertura della successione. In alternativa, vi è la più articolata procedura dinanzi al Cancelliere del Tribunale competente (quello del luogo in cui si era aperta la successione). Nessun ulteriore incombente di regola viene posto a suo carico, in quanto non espressamente previsto dall’art. 519 c.c.. La formalità dell’inventario non ha mai riguardato il rinunciante ed anzi è stata storicamente considerata logicamente e giuridicamente incompatibile con l’essenza e le finalità proprie del negozio di dismissione del diritto di eredità».

E dunque? «Questo orientamento, avallato dalla dottrina e seguito (tuttora) dalla prassi degli operatori del diritto, da sempre è parso comprensibile nell’ottica di tutela del chiamato che avesse voluto dismettere l’eredità. Era infatti considerato un nonsenso imporre a costui oneri economici e attività strutturalmente pensate ed inquadrate nell’ottica dell’accettazione beneficiata».
E quale sarebbe la novità pericolosa? «Nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione si è assistito ad un costante mutamento di opinione.Nella rilettura complessiva delle norme successorie, la Cassazione avrebbe ritenuto applicabile l’art. 485 c.c. anche alla rinuncia all’eredità, con ovvie conseguenze in tema di incombenti a carico del chiamato nel possesso dei beni ereditari. Nello specifico si è affermato che le norme che disciplinano la rinuncia alla eredità (art. 519 e segg. cod. civ.) debbono essere coordinate con quella dell’art. 485 c.c., secondo cui il chiamato all’eredità, che si trovi nel possesso (a qualsiasi titolo) di beni ereditari, ha l’onere di fare l’inventario. Quindi fare l’inventario è divenuto un onere specifico».

E quindi cosa cambia sul piano pratico per il cittadino? «Cambia moltissimo. La mancanza dell’inventario, nei termini prescritti dalla legge, comporta che il chiamato vada considerato erede puro e semplice e che lo stesso, quindi, perda non solo la facoltà di accettare l’eredità con beneficio dell’inventario, ma anche quella di rinunciare alla stessa. Seguendo quest’ultima interpretazione, dunque, il chiamato all’eredità che sia a qualunque titolo nel possesso di beni ereditari, quand’anche volesse rinunciare, dovrebbe previamente erigere l’inventario (con l’ausilio di un Notaio) e solo dopo formalizzare la rinuncia ai sensi dell’art. 485 c.c.».

E quindi cosa consiglia ai nostri lettori? «Procederei a distinguere le situazioni. Naturale presupposto per l’applicazione della norma in commento è il possesso dei beni ereditari in capo al chiamato. Attenzione al fatto che per integrare un possesso rilevante ai fini dell’obbligo di redazione dell’inventario è sufficiente la semplice relazione materiale con uno solo dei beni ereditari, anche per un tempo molto breve. Ad esempio, il coniuge superstite che continua a vivere nella casa familiare integra il possesso ritenuto qui rilevante».

Quali sono le conclusioni da trarre? «In conclusione, una volta accertata la sussistenza del possesso dei beni ereditari in capo al chiamato all’eredità (nell’ipotesi ovviamente di eredità passiva), la prudenza suggerisce di seguire il percorso più gravoso sotto il profilo economico, ovvero quello di erigere l’inventario e poi formalizzare la rinuncia all’eredità, nei termini e con le modalità di cui alll’art. 485 c.c.. Nel caso in cui ciò non venisse fatto, infatti, il rischio – per il chiamato all’eredità – sarebbe quello di essere dichiarati erede puro e semplice del de cuius, con conseguente confusione dei due patrimoni e subentro nelle posizioni (anche) passive del de cuius (cioè i debiti!)».


 

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