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L’operazione della Guardia di Finanza ha scoperto 16 milioni di litri di carburante “fiscalmente inquinato” che ha generato illecite transazioni per oltre 65 milioni di euro. 7 arresti e 2 misure interdettive tra Lombardia, Campania, Umbria e Veneto. Dietro le quinte pare ci sia la mano della camorra. Dalla mattinata odierna, gli uomini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria Brescia e della Tenenza di Desenzano del Garda, supportati da alcuni Reparti territoriali del Corpo operanti in Campania e Umbria, stanno eseguendo n. 7 ordinanze di custodia cautelare in carcere (nonché n. 2 misure interdittive riguardanti il divieto di amministrare imprese), disposte dal GIP presso il Tribunale di Brescia, nei confronti di due brokers residenti in Lombardia, quattro persone residenti in Campania ed un’altra persona residente in Umbria, tutte operanti nella commercializzazione dei prodotti petroliferi. Nello stesso contesto, oltre alle misure cautelari personali, il Gip ha ordinato il sequestro preventivo di beni per oltre 5,2 milioni di euro. Si tratta dell’OPERAZIONE “FREE FUEL”, svolta dalle Fiamme Gialle bresciane sotto la direzione della Procura della Repubblica di Brescia con il coordinamento della Procura Nazionale Antimafia. L’imponente frode fiscale ha interessato 16 milioni di litri di carburante provenienti dalla Slovenia e dalla Croazia. Il fine perseguito era quello di abbassare artificiosamente il prezzo finale del prodotto “alla pompa”, attraverso la creazione di società “filtro” che sistematicamente hanno omesso il versamento dell’IVA dovuta all’Erario.
Infatti, la merce, effettuava due “viaggi” differenti:
• un “viaggio fisico”, partendo dall’estero e, a mezzo di autobotti, raggiungendo direttamente depositi fiscali ubicati a Roma, Genova e Vigevano (PV), per poi essere velocemente inviata presso i distributori stradali;
• un “viaggio cartolare”, molto più “tortuoso” di quello fisico, ma fiscalmente (indebitamente) vantaggioso. Il carburante, infatti, veniva formalmente ceduto, dapprima, a due società cartiere formalmente ubicate in Bulgaria e Romania, ma gestite dall’organizzazione criminale; in un secondo momento, veniva poi fatturato a due “cartiere” italiane, le quali non versavano le imposte. Infine, il carburante veniva venduto a imprese che gestiscono distributori stradali, tre delle quali sono risultate consapevoli del sistema di frode posto in essere.