Andos Vallecamonica-Sebino nella sua bella Newsletter di questi giorni ha pubblicato l’Elisario, giunto al “Nono Elisir: l’Altro come Cura”.
Sì, siamo animali sociali! È scritto nel nostro sangue, nella nostra storia ontologica. Siamo figli di quei Camuni che si ritrovavano insieme nella quotidianità precaria, insieme a cacciare, a raccogliere, a difendersi, a pregare, a imparare, a scoprire, forse a piangere e forse a ridere. Sicuramente, INSIEME, a vivere e sopravvivere. Quando la folata gelida della malattia pervade le nostre vite, può accadere che congeli tante parti di noi: quello che siamo, quello che è stata la nostra vita fino a quel momento. Ghiaccio che rompe in mille pezzi la voglia di sorridere e socializzare ancora, la voglia di “stare in mezzo alla gente”, rimandandola a “quando sarà tutto passato”, imponendosi l’impellente ordine quotidiano “adesso devo pensare alla malattia”. Possiamo così chiuderci a riccio, come meccanismo di difesa, in quell’isolamento che pensiamo possa farci bene. Ma desidero mettere una pulce nell’orecchio di quel riccio che si protegge lontano dagli Altri che ci sono a fianco nelle nostre vite, familiari, amici, colleghi, conoscenti che possono fungere invece da colla di quelle parti di noi che possono essersi frantumate o stropicciate un po’ nella malattia. La chiusura e l’isolarsi dal mondo può essere una reazione normale con un ruolo adattivo, specialmente nella fase subito successiva alla diagnosi, necessaria ad elaborare i cambiamenti che essa comporta. Un passaggio però che sia temporaneo e col giusto dosaggio necessario per raccogliere le forze e uscire ad affrontare di nuovo la vita. L’incontro con l’Altro può essere infatti un collante per la nostra integrità psicologica ed emotiva, permette di mantenere un senso di continuità alla nostra esistenza e alla nostra storia, consentendo condivisione, vicinanza, incoraggiamento e forza. Un recente studio pubblicato su Cancer (Kroenke C. et al., 2016) ha confermato i poteri straordinari che i legami sociali hanno nel potenziare le cure per il tumore al seno. Analizzando i dati raccolti su più di novemila donne nel corso di undici anni, la ricerca ha evidenziato come le donne con una ricca rete sociale e con rapporti interpersonali soddisfacenti vivrebbero più a lungo incorrendo in un rischio minore di recidiva. La capacità di curare è quindi intrinseca nei rapporti sociali, avere e sentire vicino le persone per noi importanti, soprattutto nei momenti di prova, è un balsamo lenitivo per le ferite esistenziali. L’esternare i pensieri, le preoccupazioni e le speranze in un fare di condivisione, rispecchia già quel sostegno psicologico in grado di accarezzare la crisi emotiva con quel senso di appartenenza che ci fa sentire ancora appigliati alla Vita, pur nello strappo della malattia. Non rimandiamo la vita, non rimaniamo in apnea nella nostra stessa vita!