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 La Corte d’Appello di Brescia ha assolto con la formula piena, perché il fatto non sussiste, tre fratelli di Cerete, i loro due figli e un collaboratore, dall’accusa di aver trasformato in discarica abusiva i materiali depositati per la messa in sicurezza dei terreni di famiglia dalle acque del torrente Borlezza.

Per quel presunto deposito di materiale di scarto non autorizzato gli imputati erano infatti stati condannati a sei mesi nel dicembre 2015 dal Tribunale di Bergamo, nonostante la richiesta di assoluzione da parte della Procura. La vicenda, finita in Appello a Brescia, è solo la coda giudiziaria di una infinita storia di lavori iniziati e sospesi, autorizzazioni rilasciate e poi scadute, denunce e sanatorie. Una vicenda iniziata nel 2007 con la richiesta di tre fratelli di Cerete di mettere mano alla scarpata sul Borlezza per evitare che il torrente si mangiasse il loro terreno. Per tre anni tutto era stato ritenuto regolare, ma questi lavori di recupero ambientale si erano interrotti nel 2010, quando l’impresa aveva esaurito i fondi. Il Comune di Cerete aveva allora concesso una proroga del permesso di costruire fino a luglio 2011, ma nell’agosto 2012, con i lavori fermi, aveva disposto un sopralluogo nell’ipotesi che sia stato utilizzato e abbandonato più materiale di quello autorizzato ed era scattata una denuncia. L’anno successivo il Comune, tramite una sanatoria, aveva riconosciuto come regolare la quantità e la qualità del materiale lasciato e nel 2015 aveva rinnovato i permessi. Nel frattempo la vicenda era però andata a processo e il tribunale aveva condannato i sei imputati ritenendo che il deposito di materiale, inizialmente stimato in oltre 900 m³, fosse di fatto un cumulo di rifiuti, cioè una discarica abusiva. Ora la sentenza della Corte d’Appello di Brescia definisce che non era una discarica di rifiuti, ma un deposito di sottoprodotti. Se non vi saranno altri sviluppi giudiziari, la vicenda dovrebbe chiudersi definitivamente.

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