Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute, torna ad accendere i riflettori sul tema dell’aborto con la campagna “The Unheard Voice”, per mettere in luce la diffusa violenza psicologica cui sono sottoposte molte delle 63.000 donne che ogni anno in Italia vogliono interrompere la gravidanza. Lo fa facendo ascoltare per la prima volta cosa realmente accade nelle strutture sanitarie, in cui la voce delle donne viene spenta per far sentire loro il “battito fetale” o le parole violente di chi vuole negare il diritto all’aborto. E pubblica il nuovo report “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza”, che, tra iniziative promosse a livello nazionale e politiche anti-scelta in diverse Regioni, denuncia come la politica stia istituzionalizzando le barriere all’accesso all’aborto, trasformandole in vere e proprie politiche di deterrenza, con una forte ripercussione sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire.
Emblematico è l’esempio della Regione Lombardia, pioniera della collaborazione tra amministrazione regionale e movimenti contro l’aborto, che per prima, nel 2010, ha istituito un fondo gestito dal Movimento per la Vita (MpV), primo movimento antiabortista nato dopo la legge 194. Non a caso, qui, la rete dei Centri di aiuto alla vita (CAV) è capillare, spesso all’interno degli ospedali, ma anche nei consultori. Grazie a una delibera della giunta regionale promossa nel 2000 dall’allora presidente Formigoni, “i consultori familiari privati accreditati possono escludere dalle prestazioni rese quelle previste per l’interruzione volontaria di gravidanza”, legittimando, di fatto, l’obiezione di struttura vietata dalla legge 194. «Più di un terzo dei consultori considerati pubblici perché accreditati e pagati dalla Regione sono cattolici e quindi non si interessano delle IVG» denuncia la dottoressa Daniela Fantini, ginecologa referente di AGITE Lombardia – Associazione GInecologi TErritoriali. Un problema grave se si considera che gli attuali consultori pubblici (129) sono ben al di sotto della proporzione 1 ogni 20 mila abitanti previsto per legge (circa un consultorio ogni oltre 30 mila abitanti). I consultori sono il primo punto di accesso e informazione per seguire e indirizzare le persone che vogliono abortire nel percorso per l’IVG. Ma la certificazione per accedere alla procedura rilasciata nei consultori lombardi resta sotto il 50% (in Emilia-Romagna è oltre il 90%).
Ancora più difficile, poi, l’accesso all’IVG farmacologica: secondo le linee di indirizzo emanate dal Ministero della Salute nel 2020, nei consultori si dovrebbe accedere all’aborto farmacologico (con la RU486), ma, come ricorda la dott.ssa Fantini: «A Milano questo succede solo nell’ambulatorio legato alla Mangiagalli, che è un consultorio un po’ particolare perché è attaccato all’ospedale». Non solo: secondo i dati della consigliera del PD lombardo Paola Bocci, nel 2023 le IVG farmacologiche sono state circa il 49% del totale (in Emilia-Romagna e Piemonte superano il 60%) e 11 strutture pubbliche su 50 non le praticano. Lodi è la provincia con la percentuale più alta di IVG farmacologica (78%), Brescia, Cremona, Milano Città, Monza e Brianza, Sondrio, Como sono sotto il 50%, la provincia di Milano è ultima al 29%. Il tasso di obiezione di coscienza tra il personale sanitario è in media del 53%, con punte oltre il 70% in provincia di Bergamo. Inoltre, la Lombardia è maglia nera per i tempi di attesa: secondo il Ministero, il 36% delle persone deve attendere oltre 15 giorni per una IVG dal rilascio del certificato: meglio solo di Sardegna e Sicilia (37%) e ben al di sotto della media del Nord Italia (25%). Senza contare il tempo perso a causa della difficoltà a reperire informazioni su come accedere all’IVG in Lombardia. Il risultato di questo intreccio di problemi è che le persone, soprattutto le più vulnerabili, si ritrovano disorientate, con rischi altissimi per la salute, soprattutto mentale.
Le testimonianze raccolte da diverse associazioni da Nord a Sud della Penisola e riportate nel report di Medici del Mondo parlano di situazioni al limite: atteggiamenti ostili e linguaggio offensivo del personale sanitario (“Potevi pensarci prima”, “Queste ragazzine sempre con le gambe aperte”), donne costrette ad ascoltare il “battito fetale” e a firmare, contro la loro volontà, per la sua sepoltura. Una vera e propria violenza psicologica (e fisica, se si considerano gli antidolorifici volutamente negati dopo la procedura), sistemica e costantemente aggravata dai ripetuti tentativi dei gruppi antiabortisti di umanizzare l’embrione e criminalizzare la persona che ha scelto di interrompere la gravidanza, cercando di creare sensi di colpa. Il risultato? Ai numerosi ostacoli che chi vuole abortire deve affrontare, si somma un del tutto inutile trauma emotivo. Secondo l’OMS, una normativa restrittiva sull’aborto può causare angoscia e stigmatizzazione e rischia di costituire una violazione dei diritti umani, oltre a imporre oneri finanziari. Sulla stessa linea lo studio Turnaway dell’Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l’Università della California, San Francisco, che dimostra che le donne che incontrano barriere (di qualsiasi tipo), che ritardino o rendano più difficoltoso l’accesso alla IVG, presentano maggiormente stress, ansia e depressione. Al contrario, le donne che hanno interrotto una gravidanza indesiderata non provano rimpianto, dolore né tantomeno disturbo da stress post-traumatico: l’emozione più comunemente provata è il sollievo, con ben il 99% delle donne che ha dichiarato che l’interruzione di gravidanza è stata la decisione giusta.
«Con “The Unheard Voice” vogliamo accendere i riflettori su una violenza psicologica, sistematica, pubblica e di stato che non è più accettabile. Il report evidenzia quanto ancora siamo lontani dalle raccomandazioni dell’OMS e da quanto previsto dalla nostra Costituzione in merito al diritto alla salute che dovrebbe essere garantito dai Livelli Essenziali di Assistenza. E ciò a causa di una chiara volontà politica che può avere conseguenze sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire» spiega Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia.
Nelle prossime settimane “The Unheard Voice” correrà online e sui social per fare informazione e sensibilizzare su questo tema attualissimo, mentre le testimonianze raccolte si potranno ascoltare su Spotify. A supportare la campagna e ad amplificarne il messaggio, ci saranno le voci di attiviste e attivisti e influencer, a cui si aggiunge quella della comica Laura Formenti che, dopo la campagna “The Impossible Pill”, torna quest’anno a prestare il suo linguaggio ironico per raccontare, in modo schietto, diretto e squisitamente umano, il tema dell’aborto in Italia, a partire dal video teaser che denuncia come oggi in Italia la voce delle persone che vogliono abortire venga censurata.
E, dopo aver presentato ufficialmente il nuovo report alla Camera dei deputati, il 23 settembre scorso, Medici del Mondo continuerà a supportare, in sinergia con altre associazioni, la petizione europea “My voice, my choice” per un aborto sicuro e accessibile in Europa. E perché la voce delle donne che vogliono abortire sia davvero ascoltata.
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Chi è Medici del Mondo. Medici del Mondo (MdM) è una rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute alle persone più vulnerabili, denunciare le ingiustizie di cui sono vittime e promuovere il cambiamento sociale. Oggi gestisce circa 400 progetti in oltre 70 Paesi del mondo, così come attività di advocacy sia a livello europeo che internazionale. Nel 2020 nasce MdM Italia che, tra le varie aree di intervento, si occupa di salute sessuale e riproduttiva e ribadisce con forza che l’aborto è un diritto umano e un pilastro fondamentale dell’uguaglianza di genere. MdM ritiene che l’aborto libero e sicuro sia un’emergenza di salute pubblica, considerando che ogni anno nel mondo 39.000 donne muoiono a causa di interruzioni di gravidanza realizzate in condizioni non sicure. Per questo MdM si impegna a fare pressione presso le istituzioni perché l’aborto sia un vero diritto in ogni Paese.
ABORTO: QUALCHE NUMERO
L’aborto non sicuro è una delle principali cause di mortalità materna a livello internazionale. Dei circa 121 milioni di gravidanze indesiderate che si verificano ogni anno nel mondo, il 60% si conclude con un aborto. Di questi aborti, il 45% avviene in condizioni non sicure, a causa dell’accesso limitato al servizio. I numeri dell’OMS parlano di 39.000 decessi all’anno e di 7 milioni di persone costrette all’ospedalizzazione. Si stima, inoltre, che oltre 20 milioni di donne in Europa non abbiano accesso all’aborto.
A questo proposito, in Italia, una delle questioni più rilevanti è l’obiezione di coscienza. Secondo il Ministero della Salute, nel 2021 in Italia si è dichiarato obiettore il 63,4% dei ginecologi (con picchi dell’85% in Sicilia, 84% in Abruzzo e 77,8% in Molise), il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico. In Italia effettuano IVG il 59,6% delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia (nel 2020 erano il 63,8%), con forti differenze tra le regioni. Sono disponibili 2,8 punti IVG ogni 100.000 donne in età fertile. I valori più bassi si registrano in Campania (1,5 punti IVG per 100.000 donne), Molise (1,8) e nella provincia autonoma di Bolzano (1,8). La fotografia del Ministero, però, non è esaustiva. Secondo la ricerca Mai dati dell’Associazione Luca Coscioni, in 22 ospedali (e 4 consultori) la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%, in 72 è tra l’80 e il 100%. In 18 ospedali c’è il 100% di ginecologi obiettori.
Altro sintomo di una rete sanitaria non adeguata a garantire l’accesso a cure abortive è il numero di Consultori Familiari (CF), primo punto di accesso e informazione per indirizzare nel percorso per l’IVG. L’Indagine nazionale 2018-2019 dell’Istituto Superiore di Sanità rileva un centro ogni 32.325 abitanti, contro la proporzione prevista dalla Legge 34/1996 di uno ogni 20.000 abitanti, con cinque Regioni con un rapporto superiore a 40.000 residenti per CF. Inoltre, rispetto allo standard di riferimento stabilito nella Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della legge 194 al Senato nell’anno 1995, il valore medio delle ore di lavoro settimanali è inferiore di 6 ore per la ginecologia, di 11 per l’ostetricia, di una per la psicologia e di 25 per l’assistenza sociale. Non solo: secondo l’ultima relazione annuale del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194 presentata nel 2023, nel 2021 i consultori che effettuano counselling per l’IVG e rilasciano certificati rappresentano il 68,4% del totale (l’anno prima erano il 69,9%). Negli anni, comunque, i consultori hanno raddoppiato la frequenza di rilascio della documentazione per l’IVG, passando dal 24,2% del 1983 al 42,8% del 2021. Il 53% di coloro che si rivolgono ai consultori per ottenere il certificato sono persone straniere. I consultori sono anche i luoghi individuati dalle linee di indirizzo emanate nel 2020 per accedere all’aborto farmacologico in regime ambulatoriale – seppur al momento solo tre regioni si siano adeguate a queste previsioni (Lazio, Emilia-Romagna e Toscana).